La maratona insegna che non esistono scorciatoie
Da sola con se stessa, a macinare chilometri sotto i piedi. Al gelo d’inverno, quando il suo stesso respiro le appanna la vista, ma l’obiettivo è talmente grande da non farci caso. Il freddo sulla pelle Valeria Straneo lo patisce, ma la preparazione di una maratona non fa sconti. Non c’è un attimo da perdere, soprattutto quando il sogno si chiama Olimpiade. Madre, gazzella, piccola donna dalla grande forza, capace di abbattere i problemi fisici e gli ostacoli che la vita le ha posto davanti, una voce squillante e la tipica “r” alessandrina a distinguerla, 43 anni e ancora tanta voglia di correre. “Non smetterò mai, mi diverte troppo”. Due partecipazioni Olimpiche alle spalle, Londra 2012 e Rio 2016, l’argento Mondiale conquistato a Mosca nel 2013 e quello Europeo vinto l’anno successivo a Zurigo. “Ora sto inseguendo il minimo per strappare il pass per Tokyo 2020. L’ho mancato di poco all’ultima maratona che ho corso a Valencia a dicembre, ma in primavera ci riproverò”. Eppure la sua storia, anche quella con la corsa, non sempre è stata semplice. La svolta è arrivata nel 2010, quando Valeria aveva 34 anni e fu costretta a sottoporsi all’asportazione della milza a causa di una malattia ereditaria che non le dava pace. Dopo l’intervento e un lungo recupero, il fisico è rinato e la corsa si è fatta più fluida e leggera, permettendo a tutto il suo talento di esplodere e portarla fino a vertici mondiali.
Il 2020 è iniziato con un obiettivo chiaro e un duro lavoro
Sto cercando di conquistarmi la terza Olimpiade, dopo le bellissime esperienze di Londra e Rio. In Brasile nel 2016 purtroppo sono arrivata con parecchia fatica, a causa di una serie di infortuni in cui ero incappata l’anno precedente. Ho chiuso sotto le 2 ore e 30 minuti, tredicesima e soddisfatta, perché in quelle condizioni più di così era impossibile. A quell’esperienza sono seguiti altri anni non semplici, con continui stop and go nella preparazione. Ma ora sembra che le cose stiano andando abbastanza bene…
Anche perché da poco più di un anno a seguirti è niente di meno che “il re” della maratona azzurra, Stefano Baldini, oro Olimpico ad Atene 2004.
L’ho sempre ammirato moltissimo prima come atleta poi come tecnico. Verso la fine del 2018 stavo vivendo un periodo di stallo e avevo bisogno di nuovi stimoli. Girando su Instagram scoprii per caso che Stefano allenava i gemelli Samuele e Lorenzo Dini. In me scattò qualcosa e mi dissi: anch’io voglio essere seguita da lui! Lo chiamai per chiedergli se fosse disponibile. E così iniziammo, non prima ovviamente di aver chiuso la collaborazione con il mio allenatore di allora, Massimo Magnani, splendida persona che mi ha compresa pienamente. Stefano mi segue a distanza, ma spesso mi raggiunge ad Alessandria, dove mi alleno praticamente sempre in solitaria, per rifinire i lavori più impegnativi.
Sei mamma di Leonardo e Arianna, e dividi la tua vita tra famiglia e sport, passando anche lunghi periodi in ritiro lontana da casa, spesso alla ricerca di un clima migliore e meno rigido rispetto a quello invernale della pianura Padana. Sei molto in vista e ricercata dagli sponsor, testimonial di campagne sociali, ma in passato sei anche stata vittima di una serie di attacchi d’odio via social. Puoi raccontarci cosa è successo?
Dopo l’operazione di asportazione della milza ho iniziato a migliorare decisamente nella mia disciplina. Finalmente, risolto il problema fisico, riuscivo a esprimermi bene anche nella corsa. Mi sentivo sollevata, bene con me stessa, stavo veramente rinascendo. Eppure sono stata presa di mira da una serie di attacchi sui social che mi hanno profondamente ferita… Le cose che non ho letto! Questa è dopata, questa si droga, a 35 anni non può di colpo iniziare a ottenere certi risultati, è impossibile che una donna che prepara la maratona abbia questi valori del sangue… Per un periodo è stato un continuo attacco. Addirittura una persona si era accanita contro di me in modo scandaloso, arrivando quasi a sostenere che mi fossi fatta asportare la milza per correre più forte, come se fosse un alibi per assumere medicine o chissà quale sostanza… Non è stato semplice affrontare gli attacchi in rete. Era come se chi scriveva non si rendesse conto che io ero stata male, che la malattia e l’operazione mi avevano costretta giorni e giorni in ospedale. Ho dovuto affrontare un percorso difficile e pesante di ripresa. Ma la gente, dietro a una tastiera, è come se non pensasse: non cerca la comprensione, il dialogo, il confronto, gli basta vomitare astio. È un po’ come il vecchio pettegolezzo che una volta si faceva al bar, ma ora è tutto più immediato e semplice, veloce e moltiplicato all’ennesima potenza.
I tuoi figli utilizzano internet e i social?
Certo, alla loro età è ormai impossibile tenerli “sconnessi”. Utilizzano per lo più YouTube che ormai ha sostituito la televisione. Gli altri social con parsimonia. Sono abbastanza controllati da me e mio marito. Finché si tratta di utilizzarli per rimanere in contatto con gli amici bene, ma non amiamo l’abuso.
Chi vive quotidianamente uno sport ad alti livelli sa cosa sia il sacrificio. E la maratona è lo sport individuale per eccellenza. 42,195 chilometri, soli con se stessi, le proprie fatiche, le proprie emozioni. Ma quali sono i valori che questa disciplina sportiva può trasmettere? Anche per contrastare la solitudine da tastiera…
Lo sport in generale, ma soprattutto il mio sport, ti insegna che i risultati non vengono se non lavori tutti i giorni. Ti insegna che non esistono scorciatoie.
Purtroppo oggi come oggi è tutto immediato, i social e internet sono lo specchio della società come qualcuno la vorrebbe e come a volte, purtroppo, è davvero: basta un clic per acquistare qualcosa e il giorno dopo ce l’hai già a casa. Non importa cosa ci sia dietro. È come se avessimo perso la pazienza. Invece lo sport ti insegna proprio che la pazienza, il lavoro certosino, l’abnegazione quotidiana, la costanza, a volte anche la sofferenza, sono ciò che serve per arrivare al risultato vero. Un traguardo che è ancora più grande se te lo sei sudato. La maratona può essere concepita come un’esperienza di vita. Per arrivare alla felicità devi affrontare diverse prove, momenti brutti e difficili, momenti esaltanti. È un percorso.
Per la tua attività sei abituata a girare tutto il mondo e conoscere diversi contesti. Hai mai assistito a episodi di odio razziale?
Non mi è mai successo, tra noi sportivi c’è una fratellanza che ci lega, a prescindere dal luogo di provenienza. Siamo abituati a girare e ad avere a che fare con culture sempre differenti. Siamo abituati a scontrarci con avversari di Paesi diversi, ci conosciamo. Il razzismo invece scaturisce dall’ignoranza. Sulle linee della partenza e del traguardo siamo esattamente uguali, amatori e atleti. Viviamo le stesse dinamiche, l’ansia, i polmoni che si riempono d’aria prima del via. Non c’è nulla di più bello di una maratona o di una corsa per scoprire che è realmente così.