La capitana delle Farfalle: La forza di ciascuna sta nel gruppo
Le chiamano le Farfalle, leggere si alzano in volo sulla pedana quadrata che conosce ogni loro fatica. Potenti e decise, dinamiche, espressive. Capaci di tirare fino all’ultimo istante esercizi di estrema complessità, quasi indecifrabili a occhi poco esperti, ma talmente emozionanti da lasciare senza fiato, commuovere, stupire. Sono le ragazze della Squadra Nazionale di ginnastica ritmica, un gruppo allenato da ormai oltre vent’anni da Emanuela Maccarani. Capitana della squadra, tra le speranze olimpiche di Tokyo, è una ragazza di 23 anni, Alessia Maurelli, nata a Rivoli, in provincia di Torino, ma trasferitasi da piccolina in Polesine con la famiglia. Oggi, in vista del sogno a cinque cerchi, si allena 8 ore al giorno, 6 giorni a settimana, e per 11 mesi all’anno vive in hotel, assieme alle compagne di squadra. In autunno, inverno e primavera a Desio, a nord di Milano, in estate a Follonica, in Toscana. Un adolescenza e un gioventù dedicate interamente allo sport, come sognava da bambina.
Alessia, sei giovanissima, ma ti porti dietro già una grande esperienza. Un’Olimpiade disputata a Rio, con una amaro quarto posto per pochi millesimi, e un’altra che disputerai a breve. Tre ori, tre argenti e due bronzi Mondiali, un’infinità di medaglie internazionali. Com’è nata questa passione per uno sport fatto di grazia ma anche di tanta fatica?
In realtà i miei inizi sono stati nella ginnastica artistica, dove ero bravina ma non emergevo. Alla ritmica sono arrivata quasi per caso, quando un collega di mio padre un giorno gli consigliò di farmi provare questa disciplina in una società di Ferrara, l’Associazione Ginnastica Estense Putinati, molto forte. Ero flessibile, aggraziata, poteva essere più adeguata a me. Iniziai e subito mi innamorai. Quando incontrava il suo collega mio papà gli raccontava dei miei progressi e l’altro gli rispondeva: “Allora, la portiamo alle Olimpiadi?”. Qualche tempo fa, dopo che per un periodo non si sono più visti, si sono incontrati. L’amico gli ha detto: “Tua figlia, quella che era brava a fare ritmica, ha poi continuato?”. Mio papà, molto orgoglioso, non ha potuto che rispondergli: “Eh sì, alle Olimpiadi c’è andata davvero e ora sta preparando la seconda!”
La storia di una ragazza normale arrivata ai vertici del Mondo. Uno sport che unisce la grazia alla fatica, una componente marcata di espressività e al tempo stesso carichi di lavoro che non tutte riescono a reggere.
A dire il vero a me non è mai pesato vivere tutti questi mesi dell’anno lontana da casa e avendo come abitazione una stanza di hotel. Tutte queste ore di allenamento quotidiane, è vero, sono pesanti, ma era il mio sogno da ragazzina e me lo sono conquistato. Sono in Nazionale dal 2014 e ormai i meccanismi li ho fatti miei, ma quando vedo le ragazze più giovani appena arrivate, capisco che soprattutto all’inizio non è facile.
Il vostro anno è scandito dal calendario delle competizioni internazionali, con il momento più importante sempre verso la fine dell’estate, per i Mondiali o – come in questo anno – i Giochi Olimpici.
Sì, ottobre, novembre e dicembre sono i mesi della creatività, quelli in cui generalmente ideiamo assieme ad Emanuela Maccarani gli esercizi che ci accompagneranno per il resto della stagione. Gennaio, febbraio, marzo sono invece i mesi un po’ più noiosi, quelli delle ripetizioni continue, per affinare ogni passaggio, quelli in cui le giornate sono tutte una uguale all’altra, dal lunedì al sabato. Poi per fortuna inizia la stagione agonistica e per noi sportivi è il momento più esaltante. Attualmente il programma internazionale prevede l’esercizio con le 5 palle e quello misto, con 3 cerchi e 4 clavette. Inutile dire che, come sempre, le nostre composizioni sono davvero competitive.
Passiamo al tema al centro della nostra campagna. Che rapporto avete voi ginnaste della Nazionale di ritmica con i social? Ti è mai successo di subire attacchi da parte di pseudo tifosi?
In generale la nostra fortuna – ma anche per certi versi sfortuna – è essere meno esposte a commenti negativi rispetto a sportivi più in vista, come calciatori, tennisti, giocatori di basket. Sono rari i commenti ostili. Purtroppo però non ne siamo neanche immuni. Ci sono state occasioni che mi hanno riguardata in prima persona. Ad esempio durante un periodo in cui mi sentivo bene in allenamento, ma in gara incappavo spesso in qualche piccolo errore. Tanti sui social hanno iniziato ad attaccarmi, a sostenere che dovessi essere sostituita, che fossi il motivo per cui la squadra non era sempre sul gradino più alto del podio. Ed erano commenti espressi in modo molto duro e negativo, che hanno rischiato di avere su di me un effetto anche a livello psicologico. Ma per fortuna, lavorando a testa bassa, ho superato quella fase, dimostrando che valevo il posto in squadra.
Ma gli attacchi talvolta riguardano anche altri aspetti…
Sì, spesso questi attacchi riguardano l’aspetto fisico, il peso. E per una ragazza della mia età o anche più giovane può essere un argomento molto delicato. Capita per vari motivi, dal ciclo, allo sviluppo, agli ormoni, di essere soggette a cambiamenti fisici e in noi, che viviamo costantemente in pedana in body, questi cambiamenti sono più evidenti o semplicemente più visibili. C’è stato un periodo in cui mi attaccavano perché dicevano che rispetto ad altre ginnaste ero troppo formosa. Io sono anche in grado di gestire un commento del genere – che per altro non è detto che risponda alla realtà – ma non è detto che tutte abbiano gli strumenti e la forza per farlo.
È semplice scrivere da un computer, dietro a nomi falsi, vomitare cattiverie senza metterci la faccia, ferire la persona. Su una ragazzina può avere un effetto fortemente nocivo.
Nel mio ambiente, anche non per forza nella ritmica di alto livello, si rischia di incappare nell’ossessione per la magrezza e a volte basta una parola o una frase velenosa a commento di una foto, per scatenare su un soggetto più debole e sensibile forme di ossessione e reazioni autodistruttive. Bisogna essere molto attenti, non sono aspetti su cui scherzare. Quando poi quella stessa persona che ti ha attaccato o preso di mira te la trovi davanti, magari non è neanche in grado di dirti che non gli è piaciuto l’esercizio che hai eseguito.
Cosa diresti a una ragazzina che dovesse trovarsi in difficoltà proprio per questi aspetti?
Cercherei di mettermi alla pari con lei. Tante ginnaste ci ritengono degli idoli, dei modelli, ma è importante raccontare loro cosa c’è dietro lo splendore di una medaglia, far capire che anche noi abbiamo vissuto momenti difficili e ci è capitato di essere attaccate gratuitamente da persone che non avevano di meglio da fare, che anche noi siamo state male.
La ginnastica ritmica è uno sport che può essere praticato in maniera individuale oppure – come nel caso della vostra specialità – in squadra. Cosa ti hanno insegnato tutti questi anni di palestra e piccoli attrezzi?
Al di là del lato tecnico, la palestra ti insegna a vivere, a stare con le persone, ma anche a stare insieme a te stessa e a rispettarti. Ogni giorno, anche arrivate a certi livelli, viviamo la continua ricerca del miglioramento e puntiamo a vincere sfide che a volte sono obiettivi concreti, come eseguire bene un lancio o una collaborazione con una compagna, a volte invece sono aspetti psicologici da affrontare. Noi abbiamo la fortuna di essere un gruppo molto unito, dentro e fuori dalla palestra. E questo ci fa avere una marcia in più. Vedo ad esempio le ginnaste della squadra russa, sono talmente tante e il clima è talmente rigido, che non appena una di loro sbaglia viene sostituita. E questo mina la coesione del gruppo, della squadra, ma anche la sicurezza individuale. La nostra forza deriva proprio dal gruppo. Quando apro la porta della mia stanza di albergo, so che nell’altra camera c’è la mia compagna. Il giorno che entro in palestra e vedo una della mie compagne in difficoltà la guardo e capisco che solo insieme ce la possiamo fare. È ciò che ci permette di andare avanti e puntare in alto.