Dal Cavallo Rosa a ChangeTheGame, una call to action per difendere bambini e donne nello sport
Quanto vale la vita di un bambino? Si può rispondere al dolore, alla paura, alla violenza solo con il silenzio? Perché il mondo dello sport, che dovrebbe essere vincolato in modo inscindibile a principi di probità, lealtà e correttezza, come stabilito dal Coni, quando si parla di abusi e molestie sessuali fa ancora troppa fatica a prendere in mano le proprie responsabilità?
Mentre il mondo intero ha seguito con apprensione e orrore lo scandalo abusi che ha travolto Usa Gymnastics e l’intero sistema sportivo statunitense, sono ancora pochi in Italia coloro che decidono di alzare la voce e aprire gli occhi su quanto avviene nel mondo dello sport.
Daniela Simonetti è una giornalista sportiva dell’Ansa. Circa due anni e mezzo fa ha iniziato ad approfondire il fenomeno delle molestie sessuali e degli abusi sui minori in ambito sportivo. Un impegno partito da una storia incrociata sulla propria strada, che non l’ha lasciata indifferente. Un impegno che si è trasformato in un’azione concreta ed è sfociato nella costituzione de Il Cavallo Rosa, un’associazione di volontariato che ha proprio in queste tematiche il suo focus. Una realtà che nel giro di poco tempo è cresciuta fino ad assumere una dimensione europea, con la nuova denominazione “ChangeTheGame”.
di Ilaria Leccardi
“Il nostro lavoro – spiega Simonetti – è iniziato un paio d’anni fa. Ho deciso di occuparmi in modo approfondito e strutturato di questa tematica dopo aver trattato la storia di una ragazzina vittima di abusi. Poi ne è seguita un’altra e un’altra ancora. Ho scelto di non girare la testa dall’altra parte come fanno tanti, troppi. Grazie anche al sostegno e al grande lavoro di un magistrato del Tribunale di Milano, ho studiato, mi sono informata, ho indagato e ho potuto constatare quanto ancora sia indietro e arretrato il mondo italiano dello sport rispetto a queste tematiche che restano scabrose e nascoste”.
Argomenti che saranno centrali nell’importante appuntamento organizzato per sabato 24 ottobre all’Arena di Monza, dal titolo “Lo sport vale una vita?”. Un evento durante il quale interverranno atlete del calibro di Khalida Popal, ex capitana della squadra della Nazionale femminile afghana, icona dell’emporwerment femminile, Anne Kursinski, due volte argento olimpico nell’equitazione, e la campionessa di pattinaggio artistico su ghiaccio Sarah Abitbol. Tutte e tre hanno denunciato abusi e molestie nel grande sport.
Interverrà Roberto Samaden, direttore del settore giovanile di FC Internazionale, il primo club in Italia ad adottare un protocollo antipedofilia, mentre la FIGC presenta la propria piattaforma in tema di tutela dei minori nel calcio, in accoglimento delle direttive UEFA.
A fare gli onori di casa Alessandra Marzari, presidente del Consorzio Vero Volley e cofondatrice dell’Associazione Il Cavallo Rosa/ChangeTheGame. Presenti un folto gruppo di esperti dell’ambito giudiziario: avvocati, magistrati, criminologi.
“Il punto di riferimento della nostra azione – spiega Daniela Simonetti – è prima di tutto il codice penale che disciplina i reati di violenza sessuale e atti sessuali con minorenni agli articoli 609 bis e 609 quater. Spesso i bambini e gli adolescenti vengono manipolati da una figura carismatica come il proprio allenatore. E si lasciano intrappolare in relazioni definite sentimentali, in realtà abusanti. Relazioni severamente punite dalla giustizia ordinaria che considera nullo il consenso di un minore quando l’abusante è una figura di garanzia. La giustizia sportiva non agisce con necessario rigore e altrettanta fermezza. Inoltre, la potremmo definire a ‘macchia di leopardo’: quarantaquattro federazioni, altrettanti regolamenti, ognuno diverso dall’altro nell’indicare gli illeciti da perseguire. Inoltre, non è previsto un illecito disciplinare legato alle violenze e agli abusi sui minori che rappresentano il 60% dei tesserati. Illecito da collegare alla esclusiva sanzione della radiazione”.
Solo la Federazione Italiana Arrampicata Sportiva ha accolto la proposta formulata dal Cavallo Rosa, prevedendo nel suo Regolamento di Giustizia che il colpevole di violenza sessuale e di atti sessuali con minori venga radiato. In sostanza, le altre Federazioni sportive lasciano alla discrezionalità degli organi di giustizia l’individuazione della sanzione da applicare all’incolpato. Tecnici, istruttori e coach possono essere condannati in sede penale senza che le Federazioni di appartenenza lo sappiano. I collaboratori sportivi – il 90% degli operatori del mondo dello sport – nel 2014 sono stati esentati dal presentare i certificati penali e dei carichi pendenti, i cosiddetti certificati antipedofilia.
“Il paradosso – dice la presidente del Cavallo Rosa/ChangeTheGame – è che i colpevoli di reati odiosi che usufruiscono della sospensione della pena, continuano a esercitare la professione di allenatore con ripercussioni terribili per le vittime. La denuncia può portare a stigmatizzazioni o linciaggi anche pubblici.
Il primo passo da fare è chiedere anche ai collaboratori sportivi i certificati penali e dei carichi pendenti. Chi si macchia di reati a sfondo sessuale deve essere escluso dalla professione di allenatore. Istruttori e coach sono maestri ed educatori che devono aiutare i giovani a crescere forti e sereni. Troppo spesso abusano impunemente del loro ruolo”.
Attualmente il Cavallo Rosa conduce una battaglia perché siano richiesti i certificati penali, poi si batte perché sia prevista una formazione obbligatoria sui temi legati agli abusi sessuali per i coach di tutte le discipline sportive. Un altro punto è quello di portare avanti una campagna di sensibilizzazione che includa sempre più soggetti.
“In questi anni – continua Simonetti – abbiamo assistito a casi insostenibili. Come quello di un allenatore di calcio che ha subito la prima condanna nel 2002 e che ha potuto esercitare fino al 2016. Era considerato un bravo allenatore dal punto di vista tecnico. Nessuno gli ha mai chiesto nulla”.
Il fenomeno sta deflagrando nel mondo: negli Stati Uniti, ad esempio, dove l’esplosione del caso Larry Nassar (osteopata e medico della Nazionale di Ginnastica colpevole di aver violentato 500 bambine e ginnaste, per lo più minorenni, con le prime accuse risalenti all’inizio degli anni Novanta) ha portato al crollo delle istituzioni sportive, all’azzeramento dei vertici federali e alla creazione di un organismo autonomo che giudica i casi di violenza sessuale e abusi nello sport, lo US Center for Safe Sport. Inoltre, appena un mese fa il Senato Usa ha approvato una proposta di legge – ancora da confermare alla Camera – che dà maggiori responsabilità al Comitato Olimpico e Paralimpico degli Stati Uniti nel monitorare gli abusi sugli sportivi e chiede al Comitato stesso di attribuire più poteri e fondi a SafeSport.
In Francia, invece, dove è scoppiato uno scandalo abusi a partire dal pattinaggio artistico, la ministra dello Sport, l’ex campionessa di nuoto Roxana Maracineanu, si è schierata al fianco delle ragazze, ha creato una commissione d’inchiesta e ha chiesto a gran voce le dimissioni – arrivate poi, seppur tardivamente – del presidente della Federazione degli Sport del ghiaccio, Didier Gailhaguet.
“Troppo spesso – continua Simonetti – rimaniamo sconvolti da quanto avviene al di là dei nostri confini, ma non ci preoccupiamo di analizzare i fenomeni che avvengono in casa nostra e di fare tesoro di quanto sta avvenendo in altri paesi come la Francia. In Italia, nessun caso ha riguardato grandi campionesse e questo ha reso il fenomeno invisibile. Ogni anno si celebra una trentina di processi a carico di coach e tecnici. Le vittime sono solo semplici bambine e bambini che amano lo sport al centro di vicende le cui conseguenze resteranno per tutta la vita. Ma la vita di ogni bambino dovrebbe avere un valore inestimabile in un mondo normale”.
In questi anni l’azione del Cavallo Rosa ha portato, oltre a una maggiore consapevolezza sul tema e alla stesura di un approfondito vademecum dal titolo “ChangeTheGame. Educare alla consapevolezza contro gli abusi sessuali nello Sport”. Ma anche ad azioni sul campo con la radiazione di due tecnici condannati per abusi e alla sospensione di un terzo.
“Purtroppo – aggiunge Simonetti – a fronte dei progressi del codice penale nella direzione della maggiore tutela delle vittime di abusi e violenze non è seguita altrettanta consapevolezza e lungimiranza nel mondo sportivo. Troppo spesso le risposte sono solo di facciata, come l’adozione di codici etici che restano carta straccia senza un sistema sanzionatorio in caso di inosservanza”.
L’inadeguatezza della giustizia sportiva, il legame con i consigli federali che nominano i componenti, gli scarsi mezzi delle procure federali che non riescono a sostenere i costi di inchieste complesse dovrebbero spingere a una riflessione profonda e di sistema: secondo la presidente del Cavallo Rosa, il punto d’arrivo migliore in questo momento dovrebbe essere un tribunale autonomo, sul modello di quello antidoping, che possa indagare in modo libero sui casi di abusi.
“Il doping a livello internazionale è diventato importante quando non si poteva più nascondere, quando è diventato deflagrante. Dobbiamo aspettare che avvenga lo stesso anche per gli abusi? O forse è già avvenuto proprio in un ambito, come quello sportivo, che dovrebbe essere guidato dai principi di probità, lealtà e correttezza. Quando penso al percorso che porto avanti, ricordo sempre una frase che mi disse una giovane vittima: Ne parlo a te perché il Cavallo Rosa è contro le ingiustizie nello sport”. Non servirebbero altre parole.