C’è chi ha raccontato di episodi di razzismo o discriminazione a cui ha assisitto durante una partita. Chi ha spiegato in poche ma incisive parole quanto è successo a un amico o a un’amica in un contesto sportivo poco inclusivo. Chi ha ripercorso un episodio positivo vissuto in prima persona o a sostegno di un compagno di allenamento. E chi ha spiegato come anche gli allenatori o le allenatrici a volte possono avere comportamenti escludenti e negativi.
Da mesi Odiare non è uno sport entra nelle scuole per approfondire il tema dell’hate speech e comprendere come i discorsi d’odio si possano manifestare anche nei contesti sportivi, per conoscere e contrastare il fenomeno in dialogo con studenti e studentesse. In totale, al 31 maggio 2024, sono stati 3.244 gli studenti e 499 i giovani sportivi raggiunti grazie alle attività del progetto.
Nelle scuole, formatrici e formatori delle ong partner hanno incontrato le classi, proponendo loro le attività previste dall’Unità Didattica ideata all’interno del progetto: un incontro per introdurre il fenomeno dell’hate speech con un riferimento specifico al linguaggio d’odio nello sport, un secondo per coinvolgere i ragazzi nel riconoscimento dei discorsi d’odio attraverso l’analisi di casi pratici estrapolati dai social, un terzo incontro per sperimentare modalità comunicative di contrasto all’hate speech.
A questo percorso è sembrato importante affiancare la possibilità di raccogliere direttamente dagli studenti delle testimonianze reali di episodi di discriminazione o inclusione vissuti in prima persona o come testimoni, in ambito sportivo. La raccolta è avvenuta in forma anonima, attraverso l’utilizzo di una scatola in cui i ragazzi e le ragazze hanno potuto inserire dei biglietti scritti di propria mano.
Oltre cento sono state le narrazioni raccolte, alcune di poche parole, altre più articolate, che nel complesso restituiscono un quadro di grande consapevolezza e attenzione alle dinamiche che si possono sviluppare sui campi da gioco, sugli spalti, negli spogliatoi. Tanti – purtroppo – i casi di razzismo o bullismo con forme di bodyshaming. O ancora frequenti le prese in giro nei confronti di chi non dimostra uno spiccato talento sportivo. Parole che possono ferire e segnare cicatrici anche durature. Ma c’è anche chi racconta episodi positivi, sottolineando il valore della squadra, la bellezza di sentirsi accolti in un gruppo, l’importanza di tendere una mano ai nuovi arrivati.