L’hate speech online in ambito sportivo è un fenomeno in crescita. Si manifesta per lo più sotto forma di aggressività verbale e ha maggiore incidenza nei commenti social riguardanti il calcio, sport che domina quasi totalmente il flusso dell’informazione sportiva italiana, ma è rilevante anche rispetto a pallavolo e basket. In leggera diminuzione invece sono le espressioni riconducibili a forme di aggressività fisica e discriminazione che comunque rimangono a livelli ancora preoccupanti, soprattutto nei confronti di sportivi che – nella vita reale – parlano e denunciano episodi di razzismo.
Sono i dati che emergono dalla seconda edizione del Barometro dell’Odio nello Sport, ricerca realizzata dal Centro CODER dell’Università di Torino nell’ambito del progetto Odiare non è uno sport, presentata il 25 ottobre 2023 a Roma, nella Sala dei Presidenti CONI, al Foro Italico. All’evento, moderato dalla giornalista Annamaria Sodano, hanno preso parte il presidente del Centro Sportivo Italiano, Vittorio Bosio, il dirigente del Centro Nazionale Sportivo Libertas, Vittorio Rosati, il dottor Carlo Mornati, Segretario Generale CONI, Sara Fornasir coordinatrice nazionale del progetto Odiare non è un Sport, e Giuliano Bobba e Antonella Seddone, professori dell’Università di Torino, Dipartimento di Culture, Politica e Società, che hanno condotto la ricerca e illustrato i dati del Barometro. A seguire sono intervenuti Alessia Pieretti, pentatleta, Ingrid Van Marle, Presidente dell’Associazione Medaglie d’Oro al Valore Atletico (campionessa mondiale di pattinaggio), e il bronzo olimpico di canottaggio Stefano Oppo con un videomessaggio.
UN MILIONE DI COMMENTI D’ODIO
Lo studio – che fa seguito a una prima edizione realizzata nel 2019 – ha monitorato per tre mesi, dal 1° Ottobre 2022 al 6 Gennaio 2023, i social (Facebook e Twitter) delle 5 principali testate sportive italiane, Gazzetta dello Sport, Tuttosport, Corriere dello Sport, Sky Sport e Sport Mediaset, identificando quattro principali dimensioni dell’hate speech: linguaggio volgare, aggressività verbale, aggressività fisica e discriminazione. Su un totale di 3.412.956 commenti su Facebook e 29.625 su Twitter analizzati, circa un milione sono stati classificati come hate speech e circa 200.000 contenevano almeno un riferimento alla discriminazione.
Rispetto ai dati del 2019, emerge che la percentuale di post a cui non fanno seguito commenti d’odio su Facebook è diminuita dal 25,7% al 15,1%, mentre i post con più di 25 commenti di hate speech sono aumentati dal 13,6% al 29,8%. Anche su Twitter, dove il volume dei commenti è decisamente inferiore, la percentuale di hate speech è cresciuta in maniera significativa: il 54,9% dei commenti è stato identificato come hate speech, mentre nel 2019 il dato era del 31%.
La dimensione più frequente di hate speech è rappresentata dall’aggressività verbale con una percentuale che su Facebook è pari al 67,3%, seguita da espressioni di linguaggio volgare (22,1%). Discriminazione ed espressioni riconducibili a forme di aggressività fisica registrano valori più bassi nel 2022 rispetto al 2019, passando rispettivamente dal 7% al 6,5% e dal 6% a al 4,1%.
«Il fenomeno – spiega il professor Bobba – non è in diminuzione, ma in crescita. Guardando i dati complessivi, soprattutto Facebook, perché Twitter veicola ormai pochi commenti, vediamo che il livello di hate speech generale è aumentato e che sono pochissimi i post a cui non fanno seguito commenti d’odio».
Questo significa che se sono una persona che per informarsi su quanto avviene in ambito sportivo usa i social, quasi sicuramente mi imbatterò in varie forme di hate speech. Le conseguenze possono essere molteplici: posso partecipare anche io a questo flusso, oppure allontanarmi ed evitare quell’ambiente perché resto colpito in maniera negativa.
IL CALCIO DOMINA IN MANIERA SCHIACCIANTE IL FLUSSO DI INFORMAZIONI
Il Barometro dell’Odio nello Sport fornisce anche una panoramica importante sulla rilevanza che hanno i diversi sport nel flusso di notizie online, evidenziando come il calcio sia dominante nelle conversazioni social e nell’attenzione delle testate giornalistiche, con il 96,1% dei post dedicati su Facebook e il 95,2% di quelli su Twitter. Tra le altre discipline, la Formula 1 e il tennis sono gli sport più presenti, davanti a nuoto, motociclismo e basket.
Tuttavia – sebbene con volumi diversi – tutti gli sport scatenano un importante flusso di commenti d’odio su entrambe le piattaforme: su Facebook, il calcio e la pallavolo presentano le percentuali più alte di commenti contenenti hate speech (rispettivamente 12,4% e 12,7%); su Twitter, il basket si distingue con la percentuale più elevata di linguaggio volgare (15,4%) e aggressività verbale (30,8%), mentre il calcio si caratterizza per la presenza di aggressività fisica (13,5%).
Concentrandosi sui soggetti e le realtà al centro del flusso di informazione, dalla ricerca emerge che tra le squadre di Serie A, quelle che maggiormente scatenano hate speech nei commenti sono su Facebook l’Inter, la Lazio e la Juventus, con percentuali comprese tra il 13,3% e il 13,7%, e su Twitter la Roma (con il 26% di hate speech nelle replies relative a contenuti dedicati alla squadra), la Lazio (24,3%) e il Napoli (22,6%).
BONUCCI, ALLEGRI ED EGONU BERSAGLIO DI HATE SPEECH
Interessanti sono anche gli approfondimenti che questa edizione dedica ai personaggi dello sport, con focus specifici dedicati ai calciatori, agli allenatori di calcio, ai personaggi sportivi di altre discipline, ai commentatori sportivi e alle compagne dei calciatori, spesso le uniche donne rappresentate dall’informazione sportiva sulle testate nazionali, nella versione cartacea e soprattutto online.
Se tra i calciatori è Leonardo Bonucci ad aver fatto registrare il livello maggiore di hate speech (16,5% su Facebook e 29,2% su Twitter), gli allenatori è Massimiliano Allegri a raccogliere la più alta percentuale di commenti d’odio. Tra gli sportivi non calciatori, su Facebook sono la pallavolista Paola Egonu e il pilota di Formula 1 Verstappen a registrare il volume più alto di commenti contenenti hate speech (rispettivamente 16% e 16,4%). Su Twitter, benché con volumi inferiori, per Egonu quasi un commento su tre veicola linguaggio d’odio. Fra i commentatori sportivi la percentuale di hate speech è particolarmente elevata nei commenti ai post che riguardano Antonio Cassano e Daniele Adani, mentre tra le compagne dei calciatori si registrano alte percentuali di commenti d’odio relativamente ai post riguardanti la cantante Shakira, ex compagna di Gerard Piqué, e Wanda Nara, moglie di Mauro Icardi.
«In questa edizione – prosegue Bobba – abbiamo cercato di capire qualcosa in più degli attori sportivi. E tra i dati più interessanti troviamo il grande volume di hate speech nei confronti della pallavolista Paola Egonu, a seguito delle sue dichiarazioni di volersi allontanare dalla Nazionale a causa dei commenti razzisti ricevuti nel “mondo reale”. Notizia che l’ha resa target di commenti d’odio online soprattutto sotto forma di discriminazione. Ancora più interessante il dato sul capitano della Nazionale di atletica Gianmarco Tamberi: pochissimi post lo riguardano, ma tantissimi sono i commenti di hate speech che lo prendono di mira, proprio dopo essere intervenuto sul caso Egonu».
Questo ci dice che quando qualche sportivo prende parola nel mondo reale su temi come il razzismo, viene preso di mira online, scatenando un flusso ancora più forte di hate speech, sotto forma di discriminazione.
IMPORTANTE CONTRASTARE IL FENOMENO LAVORANDO CON I GIOVANI
Alla luce di quanto emerge dalla ricerca, diventa allora ancora più importante lavorare con i giovani per studiare e contrastare il fenomeno. «Il Barometro dell’Odio nello Sport – ha commentato Sara Fornasir – Coordinatrice del progetto “Odiare non è uno sport” – documenta l’allarmante crescita di un fenomeno che definisce con toni offensivi e discriminatori il contesto culturale in cui gli utenti del web interagiscono quotidianamente. Interessante è vedere il confronto tra quanto avviene nello sport ad alto livello e il lavoro fatto dagli enti di promozione sportiva con le società dilettantistiche. Sapere che i giovani che praticano sport hanno questo perimetro di attenzione attorno a loro è positivo, perché possiamo muoverci insieme per una mobilitazione reale, anche dal basso, contro l’odio online. Ora la ricerca universitaria proseguirà, nei prossimi mesi, per andare ad analizzare i social più utilizzati dai giovani, come Instagram e TikTok, e vedremo se le tendenze sono simili o differenti, anche perché crediamo che i giovani possano essere divulgatori di una comunicazione orientata al rispetto e alla tolleranza».
«Il CSI – afferma Vittorio Bosio, Presidente nazionale del Centro Sportivo Italiano – è da sempre in prima linea nel promuovere lo sport inteso come veicolo di crescita, inclusione e confronto. E non ha potuto far mancare la propria voce nel progetto “Odiare non è uno sport”. Poniamo infatti grande attenzione alla dimensione digitale dei confronti e delle relazioni, negli ultimi anni inquinate, con il diffondersi dei social media, sovente da insulti, scontri, parole e minacce d’odio. Lo sport deve rimanere un gioco, un divertimento e mai sfociare in odio. Ogni partita è sempre un incontro. Avversari sì. Nemici mai».
«“Odiare non è uno Sport” – spiega Andrea Pantano, Presidente nazionale Libertas – è per noi estremamente significativo, perché ci permette di contribuire alla costruzione di uno sport che sia luogo e ambiente sicuro, soprattutto per i giovani e giovanissimi. Ogni parola che lede la dignità di una persona, che la ferisce e che la fa sentire un bersaglio è pura violenza. Un’aggressione che può minare il delicato percorso di crescita dei nostri ragazzi, facendoli sentire soli, sbagliati e fragili. Lo sport può e deve essere una possibilità di autorealizzazione e di sperimentazione di sé, un posto in cui sentirsi sé stessi e al sicuro. Per questo abbiamo scelto di far parte di questa importante progettazione».
Odiare non è uno sport è un progetto educativo e una campagna di sensibilizzazione per prevenire e contrastare l’hate speech online nello sport, anche con il coinvolgimento di campioni sportivi come testimonial. Tra il 2023 e il 2024, lavorerà con le scuole e le società sportive di 7 regioni, attraverso unità didattiche e percorsi formativi interattivi per far riflettere i ragazzi sul fenomeno, permettere loro di riconoscerlo e contrastarlo, e arriverà a coinvolgere 600 docenti e 2200 studenti di scuole secondarie di 7 regioni italiane, 300 dirigenti di società sportive, 900 giovani sportivi di età compresa tra 11 e 18 anni, 540 allenatori sportivi di target giovanile. Il progetto prevede anche strumenti informatici per contrastare l’hate speech online, come un software sonda per intercettare i discorsi d’odio e un albero delle risposte per smorzare i toni delle conversazioni, elaborato dall’Università di Trieste. Inoltre, ha attivato nove squadre giovanili anti-odio per monitorare i principali social e spezzare la catena dell’odio online. Il progetto, realizzato con il sostegno dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, è promosso da CVCS in partenariato con 7 ong italiane con ampia esperienza nell’educazione alla cittadinanza globale (Amici dei Popoli ONG, ASPEm, CELIM Milano, COMI – Cooperazione per il mondo in via di sviluppo, Cope Cooperazione Paesi Emergenti, LVIA, Progettomondo), gli enti di promozione sportiva Centro Sportivo Italiano e Centro Nazionale Sportivo Libertas, Informatici Senza Frontiere APS e ImpactSkills per lo sviluppo delle soluzioni tecnologiche e due Atenei (Università degli Studi di Torino e Università degli Studi di Trieste) per la realizzazione della ricerca e la supervisione scientifica.