Stringere forte le mani su un manubrio. Percorrere i primi metri nei campi, senza confini. Provare paura, ma al tempo stesso rendersi conto che si sta scrivendo il proprio futuro. Fino a pensare: “Io da qui non scendo più”. Nell’estate 2020, in pochi attimi vissuti tra l’adrenalina e l’immaginazione, Francesca D’Alonzo si innamorò della moto e decise che sarebbe stata la sua compagna di avventure in giro per il mondo. Lei, che era una ballerina e una moto non l’aveva mai guidata. Lei che oggi, proprio attraverso la moto e ai suoi seguitissimi canali social (con il nome di The Velvet Snake), porta avanti messaggi di autodeterminazione ed empowerment per le donne, sfidando stereotipi e falsi miti.
di Ilaria Leccardi
Canali social seguitissimi, in particolare Instagram e YouTube, una moto da 200 kg con cui hai attraversato il mondo, ma un passato – soprattutto sportivo – che racconta altro. Francesca, chi eri prima di diventare The Velvet Snake?
Sono stata per tanti anni una ballerina. Ho iniziato a cinque anni, la danza è stata una passione travolgente, con cui sono cresciuta, che mi ha insegnato la disciplina, il rispetto delle regole, l’armonia, l’educazione alla musica, il movimento nello spazio. Con me, grazie alla danza – prima classica, poi moderna e contemporanea – è cresciuto il mio corpo, sul mio luogo di elezione che era il palcoscenico. Per anni ho tenuto esibizioni, ho calcato teatri, ho vinto un concorso nazionale di danza dedicato alle studentesse di tutte le scuole superiori di Italia.
E poi cosa è successo?
A 19 anni, dovevo capire cosa fare concretamente del mio futuro. Io avrei voluto portare avanti la carriera, mentre i miei genitori volevano che mi laureassi. Tentai allora di entrare all’Accademia Nazionale di Danza di Roma, una possibilità che mi avrebbe permesso di portare avanti danza e studio. Partecipai alle audizioni ma per soli due posti non fui ammessa. Mi iscrissi allora a Giurisprudenza per studiare da avvocata, ma non furono anni semplici. Avevo vissuto un grande smacco, avevo visto il mio sogno – anche professionale – dissolversi, ebbi un periodo di forte depressione. Per completare gli ultimi due anni della laurea quinquennale da Udine mi trasferii a Bologna e lì la mia vita cambiò, con nuove conoscenze, una nuova apertura. Nel frattempo, scalpitavo, non riuscivo a stare ferma. Presi uno zaino e viaggiai tre mesi nel Sudest asiatico. Con un’amica ideai poi un progetto contro i pregiudizi nei confronti degli stranieri, viaggiando in autostop per tutta l’Europa, fino alla Svezia. Quindici giorni bellissimi, in cui la parte più difficile fu quella iniziale affrontata in Italia, perché sentivo forti i pregiudizi della gente nei confronti di due donne che viaggiavano sole.
Fino all’incontro con la moto. Com’è avvenuto? E cosa è scattato dentro di te?
Finito il periodo peggiore del Covid, il mio compagno Amedeo Lovisoni, che è uno storico ed era un viaggiatore in moto ancora prima di conoscermi, mi fece provare una vecchia moto. Forse si era stufato di portarmi dietro in sella… Sono salita, ho stretto il manubrio fortissimo, perché avevo paura. Iniziai ad andare, in prima, nei campi, e lì ho capito che non sarei più scesa. È stato il punto di svolta della mia vita. Il motore sotto di me e l’asfalto che correva sotto ai miei piedi… Furono un’emozione fortissima, in cui ho visto più di quello che c’era effettivamente in quel momento: una vecchia moto che andava a malapena avanti e soprattutto una donna – la sottoscritta – che non la sapeva minimamente guidare… Dopo qualche mese io e Amedeo siamo ripartiti, ancora con la sua moto, per la Turchia, fino ai confini con la Siria e l’Armenia. E alla fine di quell’estate mi sono detta: io qui voglio tornarci, ma lo voglio fare con una moto mia.
In pochissimo tempo hai costruito un percorso che si è trasformato in un sogno professionale. Quali sono state le tappe?
All’epoca non avevo neanche ancora la patente, stavo ancora prendendo lezioni di guida! Ma ero molto decisa. Mi sono documentata, ho letto molto e ho iniziato a chiedermi perché le donne fossero così poco rappresentate in questo settore. Benché ci fossero tante amanti delle moto, sulle riviste, nei giornali e nei siti specializzati, erano molto poco visibili. Allora ho scritto un progetto, che teneva insieme la moto guidata da una donna e i viaggi, e ho cercato qualcuno che potesse aiutarmi a realizzarlo, trovandolo in Yamaha Motor Italia. Ricordo quando andai a ritirare la moto alla fine del maggio 2021… Peccato che appena una settimana dopo sia caduta e, avendo imparato a guidare ma non ancora a cadere, rimasi incastrata con un piede e fui costretta a rimanere ferma per un po’. I primi tempi è stata dura. Il punto di svolta è stato quando ho iniziato a ridere dei miei errori, imparando dagli stessi. È una lezione che sicuramente ho mutuato dallo sport, dalla mia carriera nella danza. E allora ho cominciato a raccontare il mio percorso di crescita, rivendicando anche il diritto a non essere perfetta. L’ho fatto sui social, dove all’inizio ero un po’ naif, ma poi ho visto quanto questo modo di raccontare piaceva ed era umano.
I tuoi primi viaggi dove ti hanno portata?
Nell’estate 2021 ho compiuto un percorso di 11mila chilometri dall’Italia alla Georgia andata e ritorno. L’anno seguente ho affrontato il mio primo rally, la Gibraltar Race 2022, due settimane tra Riga e Praga, un percorso ad anello di dodici tappe. Poche settimane dopo sono partita per un lunghissimo viaggio con Amedeo dal Friuli fino in India, per un totale di 17mila chilometri. Quest’anno invece sono stata per la prima volta in moto in Africa, ancora grazie alla Gibraltar Race, per un difficile rally in Marocco. Sei giorni durissimi in cui ho vissuto anche un episodio di disidratazione, perché alla mia terza giornata di gara, in mattinata avevo già finito le scorte di due litri e mezzo d’acqua che pensavo mi sarebbero durate per tutto il giorno. Sono ambienti per cui ci vuole una grande preparazione, mentale e fisica.
E dalla danza alla moto la preparazione fisica non è proprio la stessa…
Sì, anche perché la mia moto pesa quattro volte me. Da quest’anno ho iniziato degli allenamenti specifici, anche di pesistica, per costruirmi una buona massa muscolare. La mia base è quella di una danzatrice, quindi un muscolo reattivo ma esile. Ma sto “rimediando”, con grande dedizione, anche per continuare ad affrontare il mondo delle gare in cui mi ha introdotta Yamaha.
Alternare gare in contesti estremi a viaggi molto lunghi in località remote. Qual è il messaggio che porti con te?
Sicuramente un messaggio di empowerment femminile, contro gli stereotipi di genere e i pregiudizi, di cui il mondo delle moto e dei motori è ancora molto intriso, dando voce alle donne impegnate nel motorsport. E poi trovo molto importante l’incontro con quei luoghi e quelle popolazioni con cui entro in contatto. I viaggi che compio con Amedeo ci portano ad attraversare luoghi poco conosciuti dagli occhi occidentali, aree in cui la religione e la cultura si prestano a facili generalizzazioni. Quello che invece amo, e penso sia importante da fare, è raccontare la complessità, anche per quel che riguarda la condizione della donna.
A meno di un anno di mezzo dall’apertura, il tuo canale YouTube conta oltre 12.000 iscritti e 700mila visualizzazioni. A questi si aggiungono 178mila follower su Instagram e diverse migliaia su Facebook. Cosa sono i social per te? Ti hanno mai creato dei problemi?
Quando ho scritto per la prima volta a Yamaha avevo un migliaio di follower su Instagram, non di più. Sono stati i miei viaggi a portarmi seguito e a mettermi in contatto con tante persone. Le avventure in Asia, raccontate grazie ai video girati con le nostre fotocamere GoPro, ma soprattutto i rally, che mi hanno resa un personaggio pubblico, capace di affrontare gare difficili, nonostante la mia giovane esperienza. I social sono senza dubbio uno strumento bellissimo, con tante potenzialità. Ma purtroppo – soprattutto in quanto donna – io sono spesso vittima di attacchi gratuiti ad opera di veri e propri haters. L’8 marzo di quest’anno ho deciso di pubblicare su Instagram una carrellata di commenti e attacchi che mi sono stati rivolti, alcuni dei quali molto pesanti. Commenti che mai sarebbero stati indirizzati a un uomo, anche perché il contesto in cui mi muovo è ancora pesantemente intriso di sessismo.
Viva le belle storie / che ci infondono coraggio / ad essere delle combattenti /ogni giorno / e ad essere indulgenti con noi stesse / quando siamo troppo stanche per farlo. / Le moto non conoscono genere / riconoscono solo chi le ama / e chi se ne prende cura. / E allora perché quando una ragazza condivide la propria passione riceve questi commenti?
Dal Canale instagram “The velvet snake” – 8 marzo 2023
Se dovessi guardare indietro, al tuo passato da danzatrice, e al tuo presente, ora che guidi una moto in fuoristrada, quali sono le assonanze, le emozioni che risuonano?
Penso che forse i sogni che non si realizzano continuano a bruciarci dentro per anni, sono destinati a cambiare forma e possano trasformarsi in altro per rimanere vivi. È come se in qualche modo la danza non avessi mai smesso di viverla, anche sulla moto, nello specifico nel fuoristrada, dove i terreni accidentati e i continui ostacoli richiedono una guida sempre molto attiva, una interpretazione. E poi una parte importante la giocano anche i paesi che ho attraversato in moto e che attraverserò ancora, contesti in cui la condizione della donna è molto marginale. Quando passo con la mia moto desto curiosità e stupore, vedo uno sguardo particolare che molto mi ricorda quello che si soffermava sui miei passi in palcoscenico, quando raccontavo storie in movimento. Ricordo ancora quando nel 2021 raggiunsi il teatro di Aspendos, in Turchia, uno dei teatri meglio conservati dell’antichità, magnifico e imponente. Una ciabatta sì e una no, improvvisai un passo di danza, per poi tornare a indossare il casco e riprendere strade nuove e inesplorate. Ogni volta incrocio sguardi nuovi e stupiti, come quelli delle bambine, a cui spero con il mio passaggio di raccontare una favola nuova.
Quindi lo sguardo va soprattutto al futuro?
L’emozione più grande è quando ragazzine e bambine mi incontrano e mi chiedono se possono salire sulla moto. Io le vedo come mi guardano con gli occhi sgranati e mi rendo conto dell’importanza di ciò che sto facendo, sto raccontando una storia diversa, sta offrendo un modello positivo, sto dicendo che sì, è possibile. Anche per loro.
Per seguire Francesca D’Alonzo sui social:
IG: The Velvet Snake / FB: The Velvet Snake / YouTube: Francesca D’Alonzo