Comprendere l’hate speech e sostenere i ragazzi: parola ai tecnici

“Quello dei discorsi d’odio è sempre un argomento delicato da trattare con ragazzi e ragazze. A noi allenatori capita di sentire parole ed espressioni non adeguate, ma non sempre si sa come agire. Gli incontri sull’hate speech che abbiamo seguito ci hanno fornito una chiave di lettura su come intervenire. A partire da alcuni valori centrali dell’ambito sportivo, come fair play e cooperazione, abbiamo poi analizzato le forme di comunicazione utilizzate dai ragazzi. Penso che mi sarà molto utile anche nel mio percorso futuro”.

Francesco Bergantin è un giovane tecnico di tennis, ancora in attività come atleta, laureato in Scienze e tecniche psicologiche all’Università degli Studi di Trieste. Ed è tra gli allenatori che hanno tenuto le attività sportive ai centri estivi comunali di San Pier d’Isonzo, paesino in provincia di Gorizia che quest’anno è stato coinvolto nel percorso di formazione sul contrasto all’hate speech nell’ambito di Odiare non è uno sport, tenuto dalla psicologa dello sport Clara Miani.

di Ilaria Leccardi

“Sono uno sportivo da sempre, ho praticato calcio dai 6 ai 12 anni, poi sono passato al tennis. Con l’obiettivo di unire l’approccio sportivo all’attenzione alla dimensione psicologica, nel 2022 ho seguito il corso di istruttore e ora seguo i ragazzi in diverse realtà, tra cui la ASD Tennis Campagnuzza di Gorizia, una delle scuole tennis più celebri d’Italia, di quarto livello”, racconta Francesco, che ai centri estivi ha tenuto proprio le attività di avvicinamento al tennis, che i ragazzi hanno potuto sperimentare, a rotazione con calcio, baseball e basket, grazie al coinvolgimento delle società sportive del territorio.

“Insegnare un primo approccio al tennis a ragazzi che mai hanno toccato una racchetta, e farlo in un contesto di centro estivo, è molto diverso che insegnare in una scuola tennis. L’attenzione alla tecnica passa in secondo piano e si valorizzano maggiormente la partecipazione e la creazione di un gruppo positivo tra i ragazzi”.

L’attività dei centri estivi viene organizzata per settimane e non sempre prevede una continuità per tutto il periodo estivo: ci sarà chi parteciperà più a lungo, chi solo per brevi periodi, o in forma frammentata. “Tra l’approccio del lunedì, giorno in cui arrivano i ragazzi nuovi, e quello del giovedì e venerdì c’è differenza. Spesso ci siamo trovati a far giocare insieme ragazzi che non si erano mai visti prima e che abbiamo aiutato a costruire nel giro di poche ore una socialità nuova e positiva. Un aspetto non scontato. Si inizia la settimana puntando sulla conoscenza reciproca e si finisce a far giocare e collaborare il gruppo, senza alcuna pretesa di ottenere risultati sportivi”.  

Anche in questa direzione ha lavorato il percorso tenuto da Clara Miani a San Pier d’Isonzo, organizzato in diversi appuntamenti. Il primo aperto alla cittadinanza per presentare i centri estivi e le attività che la stessa psicologa avrebbe tenuto con i ragazzi una volta a settimana; il secondo dedicato agli allenatori e tecnici del territorio, volto a comprendere il fenomeno hate speech e acquisire ottiche e strategie di comunicazione per contrastarlo; il terzo riservato a educatori e istruttori che avrebbero poi lavorato ai centri estivi comunali.

“Dalla mia esperienza – prosegue Francesco – ho potuto notare che soprattutto in adolescenza i ragazzi tendono a usare una comunicazione non positiva con i coetanei, con il rischio che a volte si cada in forme di bullismo, ma anche cyberbulismo sui social. Noi allenatori dobbiamo essere bravi a intervenire con gli strumenti giusti, senza passare oltre. Come è emerso dall’incontro con la psicologa, questo non vuol dire reprimere i ragazzi o semplicemente censurare un comportamento, ma cercare di avere un approccio positivo anche quando facciamo una critica. Dobbiamo essere capaci di creare un ambiente sicuro per tutti, soprattutto i più fragili, e stimolare nel gruppo una comunicazione positiva, sia nel contesto degli sport di squadra dove c’è una responsabilità condivisa, sia in quelli individuali, come il tennis, dove l’avversario lo trovi soprattutto in te stesso”.

Parole, quelle di Francesco a cui fanno eco le testimonianze di altre istruttrici e istruttori che, come lui, hanno potuto seguire l’incontro con Clara Miani.

“Nel corso della serata – dice, ad esempio Rosa Lazzari, istruttrice di ginnastica che al centro estivo si è occupata del gioco libero – sono emersi molti fattori importanti sul rapporto istruttore/ragazzi/famiglia: il saper porsi sia nei confronti dei ragazzi che degli adulti, il comprendere e il far comprendere. Motivare sempre chi fa un’attività sostenendolo. Fargli conoscere le sue capacità e come svilupparle, avere sempre atteggiamenti positivi anche se stiamo muovendo una critica. Nei giochi di squadra far capire che tutti sono importanti indipendentemente dell’apporto che riescono a dare e che si cresce tutti assieme. Lo sport dev’essere piacere e divertimento, ma nel rispetto delle sue regole. Soprattutto deve essere amato, da chi lo fa e da chi lo insegna. Solo così ci sarà uno scambio reciproco che fa crescere tutte e due le parti”.

E ancora, Erik Franceschini istruttore e dirigente di minibasket, allenatore e dirigente di baskin, in passato allenatore del settore giovanile di calcio, sottolinea come siano emerse “interessanti riflessioni sulle varie diramazioni che coinvolgono lo sport e un rinforzo nel credere ancora di più nel lavoro di coloro che condividono la volontà di cambiare il mondo dello sport per renderlo più sostenibile e aperto a un mondo e a una società che stanno mutando velocemente o in modo molto profondo. Lavorare e comprendere la comunicazione in tutte le sue declinazioni è uno dei veicoli con cui accompagnare e accompagnarsi a questo cambiamento”.

Un’estate per imparare a contrastare l’hate speech

I centri estivi come luogo e tempo speciale. Una salvezza per le famiglie, durante la lunga chiusura delle scuole. Un’opportunità per bambini e ragazzi per sperimentare attività nuove e significative, capaci di fondere dimensione ludica e approfondimento, senza la tensione delle dinamiche scolastiche o agonistiche. È in quest’ottica che si inserisce il percorso ideato all’interno di Odiare non è uno sport, grazie alla collaborazione tra CVCS e il Comune di San Pier d’Isonzo, paesino in provincia di Gorizia che ogni anno organizza centri estivi comunali, coinvolgendo le società sportive del territorio. Dagli allenatori ai genitori, dagli educatori dei centri estivi comunali al lavoro diretto con i ragazzi, il percorso è stato guidato da Clara Miani, psicologa dello sport, che abbiamo intervistato per conoscere meglio le attività e la risposta del territorio.

di Ilaria Leccardi

Il percorso è stato strutturato a “imbuto”, con vari incontri sul territorio. Il primo, il 6 maggio, per presentare i centri estivi comunali alle famiglie, in cui la psicologa ha potuto conoscere i genitori e presentare le attività programmate per i ragazzi, ma anche per raccogliere bisogni e necessità. “Abbiamo riscontrato grande entusiasmo nelle famiglie ed è emerso il bisogno di iniziare a parlare di sport e valori sportivi, ma anche di creare una base solida sul tema della comunicazione per prevenire il fenomeno dell’hate speech e strutturare un ambiente sportivo sicuro e positivo”. Quindi, il 20 maggio, si è tenuto un incontro esteso a tutti gli allenatori del territorio, volto a comprendere cosa sia l’hate speech e acquisire ottiche e strategie di comunicazione per contrastarlo online e in campo. “Abbiamo avuto una buona partecipazione volontaria, con età molto differenti, a prevalenza maschile”, racconta Miani, spiegando che si è trattato di un incontro informativo ma che ha previsto anche una piccola parte esperienziale sui commenti d’odio che i partecipanti potevano aver letto online o di cui erano stati vittima diretta. “L’idea – aggiunge – è stata quella di suscitare nei partecipanti una consapevolezza di quanto sia pervasivo il fenomeno nelle nostre vite nella cornice sportiva”. 

Infine, il 10 giugno, un appuntamento con educatori e istruttori che avrebbero lavorato direttamente con i ragazzi ai centri estivi. “Gli allenatori – spiega Miani – hanno riconosciuto l’esistenza di fenomeni d’odio online, ma la necessità più forte era capire come gestire i fenomeni d’odio e di intolleranza che si manifestano in campo. Non è scontato, infatti, che lo sport sia educativo: è uno strumento potente, ma è necessario identificare delle aree di lavoro specifiche per garantire che sia effettivamente educativo e positivo”.

Dopo la fase di dialogo con il territorio, si è passati alle vere e proprie attività nei centri estivi. Un momento dell’anno “speciale”, spiega Miani, che pone i ragazzi in uno “stato psicofisico e relazionale ottimale, senza le tensioni tipiche della scuola e dell’attività sportiva agonistica, ma in cui il gruppo è spinto al dialogo, anche per riflessioni profonde”.

Il percorso a San Pier d’Isonzo, in cui centri estivi comunali coinvolgono principalmente società sportive locali che lavorano con sport di squadra, ha previsto l’intervento della dottoressa Miani una volta a settimana, ogni giovedì dal 20 giugno al 18 luglio. Cinque appuntamenti di due ore, a partecipazione volontaria, ciascuno focalizzato su un valore sportivo, ideati con format differenti, per non annoiare, per coinvolgere e per far fronte al fatto che non è scontato che i bambini e i ragazzi fossero presenti a tutti gli incontri.

I valori su cui si è deciso si lavorare sono stati: il divertimento e l’importanza di fare sport per divertirsi; lealtà e fair play; rispetto del gioco, delle regole e degli avversari; vincere e perdere; saper cooperare nello sport. Obiettivo finale: creare una sorta di manifesto sportivo dei centri estivi di San Pier d’Isonzo. Le attività, pensate per un target di età 10-13 anni ma con la possibilità di includere anche bambini più piccoli, hanno coinvolto ogni volta una ventina di partecipanti, per lo più ragazze.

“Ogni incontro – spiega Miani – ha previsto una mezz’ora introduttiva sul valore sportivo identificato e poi un’ora in cui i partecipanti hanno potuto sviluppare in forma creativa le proprie idee attorno ad esso. Abbiamo usato format ogni volta differenti, dal template per intervistare gli altri partecipanti ai centri estivi, per approfondire il tema del divertimento nello sport, al fumetto per sviluppare storie di fair play, dalla rappresentazione delle regole sportive attraverso disegni sulle magliette, valorizzando l’importanza di scrivere la regola, pronunciarla e poi ‘indossarla’ per trasmetterla agli altri, alla creazione di brevi cortometraggi sul tema del vincere e del perdere nello sport, fino a quella che abbiamo chiamato ‘guerrilla lettering’, ossia la creazione di slogan in forma grafica da affiggere nei vari punti della grande area dove si svolgevano i centri estivi. Ogni incontro si è chiuso poi con un momento di riflessione in cui abbiamo tirato le somme, tenendone traccia su un grande cartellone, per la creazione finale del manifesto dei centri estivi”.

Una sperimentazione sicuramente importante, che ha arricchito l’estate del paesino friulano per tanti giovani. E che ha avuto un ottimo esito grazie al coinvolgimento dell’intera comunità e di un tessuto urbano con forti legami tra gli attori sociali. “Lavorare in un contesto urbano di un paese è un punto di forza, abbiamo abbracciato una comunità estesa anche ai comuni vicini, ma dove c’era già molta connessione. Mi ha sorpresa il grande interesse nei confronti di queste tematiche ed è stato molto importante lavorare in un contesto così aperto, disteso e ludico, piacevole per i ragazzi e le ragazze che si sono sentiti sereni nella condivisione e hanno potuto esprimere la propria creatività su tematiche non scontate”. Un’estate ricca di insegnamenti che sicuramente porteranno con sé.