Quali sono gli ostacoli alla pratica sportiva per persone con disabilità? E com’è che lo sport può diventare uno strumento utile a sviluppare e costruire una propria autonomia?
Nella sesta puntata di Parole Fuorigioco parliamo dell’importanza di uno sport accessibile a tutti e tutte, grazie al dialogo con Chiara Maniero, allenatrice di volley della Polisportiva San Precariodi Padova, Andrea Ros, che ci racconta l’esperienza dell’ ASD Alta Resa, società sportiva di Pordenone che portava avanti una squadra di sitting volley dove giocano assieme persone con e senza disabilità, e Roberto Madinelli, atleta disabile che ha praticato negli anni il sitting volley con l’Alta Resa e oggi si dedica al basket in carrozzina nell’Olympic Basket Verona e nell’Albatros Trento.
Tanti cuori e una spinta, per correre insieme verso il traguardo
Correre e sentire il vento sul viso. Consumare chilometri di asfalto, con il caldo del sole o l’odore della pioggia. E poi i colori, i sorrisi, la fatica allegra, le urla di gioia, gli abbracci. Il traguardo. E non importa se non lo si fa con le proprie gambe, perché la corsa, la maratona – lo sport solitario per eccellenza, dove il corpo deve vedersela prima di tutto con la testa – può trasformarsi in un’esperienza collettiva. Un’esperienza di solidarietà e di inclusione, che diventa accessibile anche a chi non ha la possibilità di correre in autonomia. Ed è possibile grazie ai Maratonabili, una realtà nata da un’idea semplice, ma al tempo stesso geniale. Chi corre con le proprie gambe può essere anche la spinta per chi non ha la possibilità di farlo in autonomia.
Di Ilaria Leccardi
I Maratonabili non si muovono mai in silenzio. Ma lo fanno accompagnandosi da cori, canti, parrucche colorate, con l’urlo di battaglia “Uacca uacca” e quell’allegra fatica che solo lo sport ti permette di vivere. La Onlus nasce nel 2009, grazie a Franco Zomer, osteopata e ultramaratoneta toscano, che assieme a un gruppo di amici si lasciò ispirare dalle imprese di Dick e Rick Hoyt, padre e figlio statunitensi che hanno completato in coppia oltre mille competizioni sportive tra maratone, gare di triathlon e duathlon. Rick era disabile a causa di una paralisi cerebrale infantile e Dick – che prima di iniziare quest’avventura non aveva mai corso in vita sua e ora ha più di 80 anni – lo ha spinto sulla sedia a rotelle durante le gare di corsa o trasportato su una bicicletta o un canotto speciali durante le altre prove. E insieme sono diventati un’icona dello sport statunitense.
Carlotta Agosta è torinese. Ama correre e ha un bimbo, Leo, conosciuto anche come “Sorriso contagioso”. Fa parte dei Maratonabili ormai da cinque anni e nelle sue parole c’è molto delle motivazioni che l’hanno spinta a unirsi a questa realtà.
“Amavo correre e li ho conosciuti durante una mezza maratona. Vedevo un gruppo di ragazzi, molto rumorosi e colorati e ho scoperto così di cosa si trattava. Ho iniziato a partecipare alle iniziative del gruppo invitata da un amico, prima spingendo altri ragazzi, in primis il mio amico Fabietto, ora con l’obiettivo – appena si potrà – di spingere anche il mio piccolo Leo. Avrebbe dovuto debuttare come Maratonabile nel 2020 in una gara a marzo, ma purtroppo a causa dell’emergenza sanitaria abbiamo dovuto rimandare. Speriamo che il 2021 sia più clemente da questo punto di vista”.
Ma cosa vuol dire correre spingendo un’altra persona sulla sedia a rotelle? E farlo per 42 km? Perché i Maratonibili nascono proprio per affrontare la maratona, anche se poi nel calendario annuale prendendo parte anche a competizioni più brevi. Prima di tutto bisogna avere gli strumenti giusti: delle sedie speciali che possono arrivare a costare fino a 4.000 euro, del cui acquisto di occupa l’Associazione. Sono ammortizzate e ottimizzate per la corsa, da una parte per essere il più possibile confortevoli per chi le utilizza, dall’altra per rendere più agevole il compito di chi invece deve spingere. Poi vuol dire correre in team, collaborando e stando sempre vicini. Un team composto dalla persona in sedia a rotelle, da una “maglia nera” – runner esperto, con tanti chilometri nelle gambe – a cui viene affidato il ragazzo e che deve iniziare la corsa ma soprattutto tagliare il traguardo spingendo la carrozzina, e almeno due “maglie bianche”, sempre runner dell’Associazione che proteggono la persona trasportata e danno il cambio alla maglia nera nella spinta durante la gara.
“Non è semplice correre spingendo un’altra persona, anche perché – spiega Carlotta – la corsa è un movimento che coinvolge molto le braccia. E qui invece le mani e la braccia sono salde per la spinta. Ma la forza viene da dentro. E vi assicuro che non facciamo passeggiate, le nostre performance toccano circa i 6 minuti al km! Siamo persone che vivono in diverse zone d’Italia. Ovviamente in Toscana, dove l’esperienza è nata, il gruppo è molto forte, ma anche in Piemonte e in Nord Italia siamo già tanti e tante. Ognuno con la sua storia di corsa e di asfalto consumato sotto le suole. Io personalmente mi alleno alla NeXt di Torino, grazie a cui ho preparato la mia prima maratona, proprio nella mia città. Un’impresa affrontata quella volta in solitaria e dedicata a Leo.
Carlotta Agosta con il marito e il figlio Leo
La NeXt, realtà sportiva torinese di running, ha creato un vero e proprio connubio con i Maratonabili e per inizio marzo 2021 ha organizzato un evento benefico a loro favore, la 4X Virtual Marathon, una maratona virtuale a cui potranno partecipare squadre miste da 4 persone in cui ciascuno dovrà correre in autonomia, tra il 5 e il 7 marzo, una tappa da 10,5 km.
“Io sono una delle poche mamme che corre con il proprio figlio, anche se Leo deve ancora debuttare in una gara ufficiale”.
Generalmente le famiglie affidano i propri figli ai runner che li conducono per tanti chilometri di corsa. Questo significa grande fiducia, anche perché alcuni dei ragazzi hanno disabilità complesse, ma soprattutto significa consapevolezza che il proprio figlio o la propria figlia potranno vivere un’esperienza indimenticabile.
“Una delle prime protagoniste in sedia a rotelle delle corse con i Maratonabili – continua Carlotta – è stata Margherita Mugnai, tra le fondatrici dell’Associazione. Proprio a Torino alla fine di una gara fu lei a darmi la forza di arrivare al traguardo; anche se le gambe che correvano sull’asfalto erano le mie, era Margherita a spingermi in realtà. Come scrive nel libro che racconta la sua storia, Io sono ancora qua: “Mi sento tremare le gambe come se la fatica l’avessi fatta io”.
Ma nel 2020, in cui tutto si è fermato, non è stato semplice. “Chi fa parte di questa Associazione, sia i runner che i ragazzi e le loro famiglie, è unito da un grande affetto. Siamo una vera squadra. Abbiamo cercato di condurre comunque attività a distanza, coinvolgendo i ragazzi. E quindi abbiamo inventato dei giochi, delle situazioni a cui potessero partecipare mantenendo il legame che la corsa ha creato e rafforzato. Anche perché – inutile nasconderlo – chi ha un figlio con una disabilità ha sentito molto la difficoltà della chiusura dovuta al lockdown”.
Dalla corsa sono nate tante altre opportunità, il confronto, il fatto di sentirsi meno soli con i propri problemi quotidiani.
Ci sono dei requisiti per unirsi ai Maratonabili? “Per chi vuole diventare un cosiddetto spingitore, bisogna ovviamente avere una passione per la corsa. Per diventare maglia nera – spiega ancora Carlotta – devi essere un runner esperto, nelle nostre fila ci sono diversi ultramaratoneti. Per la maglia bianca basta avere un po’ di voglia di faticare e di farsi coinvolgere in questo percorso”. La motivazione più grande? “Il sorriso dei ragazzi durante le gare, la loro felicità al traguardo. Sono impagabili”.
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