Olimpiadi, boxe e hate speech: i social in fiamme

Un livello di hate speech senza eguali, per una vicenda nata attorno al ring, condita di fake news e arrivata a diventare un caso politico internazionale. Il match olimpico di pugilato tra l’azzurra Angela Carini e l’algerina Imane Khelif – categoria 66 kg – tenutosi ieri e concluso con la vittoria di quest’ultima dopo il ritiro dell’italiana, sta riempiendo da giorni le pagine dei giornali, ma ancor più i flussi social con commenti d’odio su diversi fronti.

di Ilaria Leccardi

Partiamo dai fatti. Alcuni giorni fa, quando viene diffuso il nome dell’avversaria dell’azzurra a seguito del sorteggio, i giornali iniziano a sollevare il caso: si tratta di Imane Khelif, testa di serie numero 5, attorno a cui da qualche tempo è in corso uno scontro internazionale ai massimi livelli dello sport. L’atleta lo scorso anno era infatti stata squalificata dall’IBA (International Boxing Association) agli ultimi Campionati del Mondo, assieme alla taiwanese Lin Yu-tin, a seguito di test che avrebbero definito il “mancato rispetto dei criteri di idoneità per la partecipazione alla competizione femminile” (come si può leggere dal comunicato ufficiale dell’ente internazionale). Una decisione definita “arbitraria” dal Comitato Olimpico Internazionale, soprattutto per le modalità in cui è stata effettuata, “senza una procedura adeguata, considerando che le due atlete gareggiano in competizioni internazionali di alto livello da molti anni”. Tant’è che alle Olimpiadi di Parigi Imane Khelif e Lin Yu-tin, che avevano già partecipato ai Giochi di Tokyo, sono state ammesse e la validità della loro partecipazione è stata ribadita con un’altra nota emessa dal CIO nella serata di ieri.

Un comunicato pubblicato a seguito dell’inasprirsi dei toni. Perché nel frattempo il caso mediatico in vista del match tra Khelif e Carini era già montato. Dapprima le testate italiane hanno parlato di “pugile trans”. Alcune addirittura, contravvenendo a qualsiasi regola deontologica nei confronti delle stesse persone trans, arrivano a parlare di “uomo che gareggia con le donne”. Politici e ministri si scomodano per gridare allo scandalo. Poco per volta si ricompongono i pezzi del puzzle ed emerge che – sono sempre ricostruzioni – il problema di Khelif, donna che ha sempre gareggiato con donne, sarebbero i livelli alti di testosterone. La sua situazione potrebbe essere quella di una persona con “variazioni delle caratteristiche del sesso” (DSD) che possono comportare iperandroginismo, cioè una produzione di ormoni superiore alla media generale. In patria Khelif è una stella dello sport, una stimatissima atleta, ambasciatrice Unicef. Si è allenata anche in Italia, presso il Centro Nazionale di Pugilato di Assisi.

Ieri il giorno tanto atteso. Le pugili salgono sul ring, inizia il match. Khelif parte più aggressiva. Carini dopo alcuni secondi si ferma e va all’angolo, si fa aggiustare il caschetto. Si riprende, la pugile algerina manda a segno un destro. Dopo aver incassato, Carini si avvicina nuovamente al suo angolo e, dopo 46 secondi dall’inizio dell’incontro, decide di ritirarsi. “Mi ha fatto malissimo”. Il dolore al naso è troppo forte. La seconda Olimpiade di Angela Carini termina così.

Senza voler entrare negli aspetti tecnici e nei regolamenti, che in ogni caso consentivano all’atleta algerina di partecipare, la vicenda ha scatenato un’allarmante ondata di odio social, prima nel dibattito italiano poi anche a livello internazionale, con una fortissima polarizzazione. Fin da subito è stata presa di mira la pugile algerina, contro la quale si sono scatenati messaggi in forma di aggressività verbale, linguaggio volgare, ma anche vere e proprie forme di discriminazione, sottoforma di omofobia e transfobia, benché appunto lei non sia una persona trans. Molti dei commenti sono inquadrabili come attacchi alla comunità lgbtqia+ o al mondo del femminismo. La pugile viene definita nei peggiori modi, con epiteti scurrili, con totale disattenzione nei confronti della sua reale storia umana e sportiva.

Quindi, a seguito dell’andamento del match, dopo il ritiro dell’italiana, il dibatitto e il flusso social si sono ulteriormente polarizzati. Da una parte chi si è schierato con Carini e la decisione del ritiro, dall’altra chi ha invece parlato di “sceneggiata”, attacando la pugile italiana che alla fine del match non ha stretto la mano all’avversaria. In entrambi i casi, i commenti d’odio si sono moltiplicati in direzioni diverse, con rinnovati attacchi a Khelif, ancora definita “uomo”, “camionista” “trans”, con epiteti e linguaggio volgare, nonché espressioni razziste nei confronti del suo paese di appartenenza e addirittura ai migranti algerini. C’è chi parla di “violenza di genere sul ring”, chi in maniera volgare fa riferimento agli organi sessuali di Khelif, in un senso o nell’altro (“è donna, è nata con la f.”, o “Carini ha fatto bene, rischiava che la Khelif la prendesse a pisellate”, “si sistema il pacco, avete mai visto una donna sistemarsi il pacco?”). Dall’altra parte contro Angela Carini, pugile azzurra dall’importante storia alle spalle, accusata di aver abbandonato il match in maniera strumentale, irrisa per quello che è stato considerato uno scarso livello di combattività, tacciata di vittimismo e di andare alla ricerca di visibilità. I commenti in questo caso si sviluppano maggiormente in forma di linguaggio volgare o con una modalità irrisoria: “Pensava di fare danza classica?”, “Pensava di giocare con le barbie?”.

E anche quando, di fronte all’elevato livello di aggressività, i social media manager delle testate giornalistiche italiane sono intervenuti in maniera esplicita, il flusso non si è fermato, anzi. “Vi chiediamo di esprimere le vostre opinioni senza sfociare in discriminazioni di alcun genere”, scrive il profilo Instagram della Gazzetta dello Sport. Commento che a sua volta, nel giro di pochi minuti, ha scatenato un ulteriore marea di commenti di aggressività verbale da parte degli utenti. Così come sono stati presi di mira con hate speech e insulti i telecronisti Rai che in diretta hanno commentato la scelta di ritirarsi di Angela Carini, con le parole: “Non è una bella figura” .

Il caso è diventato presto anche internazionale, ma a far rumore è la dimensione di fake news globale che ha assunto la vicenda. Alcune ore dopo il match, Elon Musk, proprietario di X, tra le persone con maggiore visibilità web al mondo, ha rilanciato un post con la fotografia di Angela Carini e le parole: “Gli uomini non appartengono allo sport femminile #IStandWithAngelaCarini. Rendiamolo trend 🔥”. Viene lanciato il trend. X/Twitter si scatena. Interviene sul caso anche Jk Rowling, autrice della saga di Harry Potter che già in passato aveva espresso posizioni molto criticate, escludenti nei confronti della comunità trans. Si moltiplicano meme che accomunano Khelif e Mike Tyson con la parrucca.

Il dato di fatto è che, ancora una volta, temi sportivi che toccano tematiche relative alla razzializzazione (si veda caso Egonu-Nazionale italiana, come spiegato nella seconda edizione del Barometro dell’Odio nello Sport), al protagonismo femminile o alle differenze di genere, sono capaci più di altri di scatenare l’odio online. E questo anche quando la specifica disciplina sportiva non trova certo i favori delle cronache. Quando mai infatti il pugilato è stato al centro della narrazione sportiva o ha suscitato un flusso di click e commenti così elevato? Qui si esula dallo sport e un ruolo importante lo ha senza dubbio la confusione generata da una scorretta informazione di base sull’argomento, per responsabilità delle testate giornalistiche che inizialmente hanno fornito informazioni imprecise e mal contestualizzate sulla figura dell’atleta algerina. Questo si è unito agli interventi di alcuni noti esponenti politici che, sempre attraverso i canali social, hanno dato visibilità alla controversia utilizzando alcune parole chiave ed espressioni, per altro in maniera scorretta, capaci di aumentare il livello di polarizzazione (una su tutte “pugile trans”). Una vicenda che, nel suo complesso, ha dimostrato uno scarso rispetto di fondo nei confronti di entrambe le protagoniste, anche per l’eccessivo carico di aspettativa che si è creato nei confronti del match.

E così, se nei giorni precedenti all’incontro che ha visto sul ring Angela Carini, la boxe aveva sollevato dibattito e discussione a causa di una serie di decisioni arbitrali e punteggi sfavorevoli alle azzurre e agli azzurri, il ring è tornato al centro del dibattito in una forma tutt’altro che conforme allo spirito olimpico. Tanto più che la stessa pugile italiana e i suoi allenatori non avevano espresso alcun giudizio negativo, alcuna protesta formale o alcun attacco contro l’atleta algerina e la sua possibilità di competere ai Giochi. Imane Khelif è una pugile battibile, come aveva dimostrato la sua eliminazione ai quarti di finale a Tokyo 2020.

FOTO di copertina rawpixel.com

ScorciDiSara: dalla sofferenza alla condivisione via social

Una vita giovane, tanti sport provati, almeno un’esperienza molto negativa di odio vissuto e subito in palestra, che ha portato all’abbandono dell’attività sportiva, determinando disturbi alimentari. Oggi l’utilizzo dei social per raccontare, dialogare su temi delicati, offrire uno spazio di connessione e condivisione. Lei è Sara Bartolini, ha 22 anni e per Odiare non è uno sport ci ha raccontato la sua esperienza con il profilo Instagram ScorciDiSara.

di Gaia Del Bosco (COMI ong)

Sara, raccontaci qualcosa di te.

Ho 22 anni e l’obiettivo della mia vita è trovare l’armonia tra i diversi ingredienti della mia persona. Studio, esco, lavoricchio, mi alleno, ballo, animo…il tutto quanto basta.

Come nasce ScorciDiSara e perché?

È un profilo che ho aperto un paio di anni fa, parallelo al mio personale. Inizialmente l’ho immaginato per condividere scorci della mia vita, in particolare i miei allenamenti e le mie preparazioni in cucina. Volevo farlo in uno spazio dedicato, per non costringere chi mi segue sul mio profilo personale a “sorbirsi” questo tipo di contenuti. Post dopo post, e storia dopo storia, i contenuti hanno iniziato a variare dal solito “cosa mangio” o “come mi alleno” a “ho letto questo libro e volevo parlarvene”, “oggi con la mia nutrizionista abbiamo parlato di questo argomento e voglio condividerlo”, “oggi è la giornata nazionale per la sensibilizzazione ai DCA, parliamone” e così via. Sono temi importanti, su cui penso che i social possano aiutarci a sensibilizzare. Ho fatto un tentativo anche su TikTok, ma poi ho abbandonato, perché è un social più complesso, che necessita di tanta costanza nelle pubblicazioni.

Nella tua storia di giovane ragazza ti porti il peso di un’esperienza sportiva che ha segnato negativamente la tua adolescenza. Ce ne vuoi parlare?

Nei miei 22 anni ho cambiato almeno sei sport, anche perché per andare avanti bisognava eccellere, o almeno questo è quello che volevano farmi credere gli allenatori. Il caso più eclatante è stato nella pallavolo: ho iniziato a giocare in terza media, in un periodo delicato della vita di tutti, l’inizio dell’adolescenza, dove la terapia mi ha poi svelato lo stabilirsi delle radici del mio disturbo alimentare. Per i primi due anni di pallavolo, l’allenamento è stato un ambiente confortevole: compagne divertenti, allenatrice appassionata e gentile, poco agonismo e tanta spensieratezza. Poi all’improvviso tutto è cambiato… All’inizio del terzo anno (seconda superiore per me) ci venne comunicato che alcune di noi, teoricamente le più talentuose, avrebbero formato una squadra di elite per partecipare a un campionato di livello più alto. Dopo qualche mese, anche io venni chiamata a prendere parte alla nuova squadra, il che significava più allenamenti, più partite, ma soprattutto compagne e allenatori diversi. L’invito a questo “scatto di carriera” mi ha fatto sentire apprezzata e, nonostante qualche dubbio da parte dei miei genitori dato il maggiore impegno richiesto (al tempo erano loro che mi accompagnavano ad allenamenti e partite), ho accettato: la mia più grande sliding door.

Cosa è successo?

Qualcosa è andato storto… Non ero un talento nato e questo costituiva un intralcio per la missione del mio allenatore: trovare in ognuna di noi la nuova Paola Egonu. La sua ricerca disperata lo portava a usare un’arma letale, proprio quella dell’hate speech e delle punizioni fisiche in seguito agli errori. Chi ha fatto pallavolo conosce il trauma dei tuffi: lanci del corpo verso terra che sono spesso utilizzati come punizione dopo un errore in allenamento.

Quell’uomo, le sue parole e il suo trattamento mi hanno portata a odiare lui, ma soprattutto a odiare me stessa. Ho creduto che le mia capacità nella pallavolo fossero la misura del mio valore nella vita. Questo mi ha portata a una profonda auto-svalutazione e hanno creato il terreno fertile che le radici del mio disturbo alimentare andavano cercando. Ho abbandonato quella situazione appena ho realizzato quanti danni stava causando nella mia vita, le cui cicatrici oggi, quasi dieci anni dopo, sono ancora lì.

Il post pubblicato da Sara il 15 marzo in occasione della Giornata nazionale del fiocchetto lilla, dedicata ai disturbi della nutrizione e dell’alimentazione

L’odio ha diverse forme e, contrariamente a come spesso si pensa, può venire proprio dagli allenatori e dalle figure di riferimento. Credi che sia un problema di “persone” o di “sistema”? Cioè, è una sfortuna incontrare allenatori e allenatrici poco sensibili, o fa parte del “sistema sport”?

È un problema di persone sbagliate nel sistema sbagliato. Ritengo che chi si comporta in questo modo lo faccia per propria natura e non perché condizionato dal sistema, ma è il sistema a legittimare queste azioni. Nel nostro secolo non è una novità che rivolgersi con parole d’odio o imporre una punizione fisica agli atleti sia sbagliato, ma nel mondo dello sport è ancora giustificato dall’idea che possa essere formativo. È proprio da qui che nasce la rilevanza della vostra iniziativa, con la speranza che questi sforzi portino a una disconferma di credenze ormai superate, e alla standardizzazione di nuovi metodi di relazionarsi, più umani.

Sui social ci sono moltissimi profili che si propongono come healthy. Quanti di questi lo sono realmente secondo te?

Il mondo dei profili healthy, com’è facile immaginare, è un’arma a doppio taglio. Il cuore del problema risiede nel fatto che in ambito alimentare tutto è giusto e tutto è sbagliato, sta alla singola persona capire come prendere quell’informazione e cosa farne. Il più classico degli esempi: i video “cosa mangio in un giorno”. Questi dividono l’audience tra chi è profondamente contrario e chi li ama, ma, come per tutte le cose, la verità sta nel mezzo. Il video in cui si mostra ciò che si mangia non ha nulla di intrinsecamente sbagliato: non vuole imporre a nessuno cosa mangiare, non vuole ispirare confronti riguardo le porzioni, non vuole recapitare il messaggio del tipo “se mangi così sarai come me” (tipiche accuse che vengono mosse contro questo format). Ciò che si mostra nel video è un dato oggettivo, che ognuno, sulla base delle proprie credenze personali, elabora in un determinato modo. Per me, Sara Bartolini, questi video sono una fonte di ispirazione per piatti nuovi da preparare, o sfamano la curiosità di scoprire cosa mangiano le persone dall’altra parte nel mondo. Tuttavia per un’altra persona con una consapevolezza e un vissuto diverso dal mio possono essere motivo di sofferenza. Ad esempio, per un’adolescente convinta di mangiare troppo e che pensa che tutti mangino meno di lei, vedere sui social un contenuto del genere potrebbe alimentare questa credenza.

I profili healty non sono dannosi di per sé, ma veicolano messaggi che se recapitati a un o una utente vulnerabile possono creare danni. Forse la soluzione potrebbe essere l’uso di un disclaimer in cui si spiega la neutralità del contenuto, con l’obiettivo di smorzare il potenziale tossico.

Cosa potresti consigliare a chi dovesse trovarsi in una situazione come quella che hai vissuto tu con il tuo allenatore?

Consiglio di sfogarsi innanzitutto con i compagni e le compagne di allenamento, ci sarà chi potrà capirvi meglio perché probabilmente subisce ciò che subite voi. L’importante è capire che quelle parole non hanno fondamento, non dovete dare loro il potere di danneggiarvi. E per concludere: guardatevi attorno e nel caso cambiate squadra o palestra… sicuramente ci sarà uno spazio dove potrete apprezzare voi stessi e le vostre capacità, senza dover rendere conto a qualcuno che tenta di abbattervi.