Il pugilato mi ha fatto diventare la donna che sono. I Giochi di Tokyo slittati al 2021? L’obiettivo medaglia resta lo stesso.
“Sognavo questa Olimpiade da anni e mi mancava solo un match per ottenere il pass. Ma l’emergenza coronavirus ha bloccato tutto. Dopo un primo momento di scoramento e pianto ho capito che era giusto così: la vita a volte ci presenta delle sfide enormi. La cosa migliore è accettare di fermarsi e far sì che la nostra Italia resti unita e che la salute di tutti possa essere salvaguardata. Non posso che ringraziare Dio di stare bene e sono sicura che troverò la forza per tornare a compiere i sacrifici necessari ancora più di prima. E quando tornerò sul ring scatenerò tutta la forza che ho dentro”. Angela Carini ha 21 anni, è pugile ed è una delle speranze azzurre per i prossimi Giochi Olimpici, quelli che avrebbero dovuto riportare quest’estate i cinque cerchi a Tokyo, a 56 anni dall’edizione del 1964, a 80 anni dall’edizione cancellata a causa della seconda guerra mondiale. Ma, come tutti gli atleti in preparazione per l’evento più importante del quadriennio, anche Angela ha dovuto confrontarsi con un’emergenza più grande. Eppure lei non è tipa da arrendersi: è una ragazza forte, nelle braccia e nella testa, ha ben chiaro quale sia il suo obiettivo sportivo. E così, rientrata da Londra, dopo l’interruzione del Torneo Europeo di Qualificazione Olimpica, è chiusa in isolamento e si allena a casa con il papà – il suo “eroe” – che la guarda attraverso un vetro. Per non perdere neanche un minuto, per continuare a coltivare un sogno.
Angela, sei giovanissima, compirai 22 anni a ottobre, ma ti porti dietro già tante medaglie e tanta esperienza. Come è nata la tua passione per i guantoni e il ring?
Ho iniziato con il tiro al piattello, seguendo le orme di mio fratello Antonio, e arrivando a ottimi livelli nazionali. Ma a un certo punto lui smise e passò al pugilato, anche per seguire le orme di nostro papà che in gioventù aveva praticato questo sport. Vedevo che il loro rapporto diventata sempre più intenso e questa cosa mi rendeva gelosa… Anche perché lo sono sempre stata molto di mio papà. Avevo 14 anni e un fisico da bambina, non ero certo in forma e soprattutto non sapevo niente di boxe. Eppure quando mio fratello tornava a casa dagli allenamenti lo sfidavo, volevo emularlo. Mi misi d’impegno, persi peso. E un giorno mio papà mi disse: “Forza, dai, tirami un sinistro sul palmo della mano”. Io lo feci e fu – come disse lui – un “bel cazzotto!”. Avevo deciso, volevo anch’io praticare quello sport. Mio papà mi portò in palestra, il maestro notò subito che ero portata, poco tempo tempo disputai il mio primo campionato italiano e, a nove mesi dal mio ingresso in palestra, il mio primo Campionato Europeo. Nel 2014 ho vinto il primo titolo Europeo, seguito poi da quelli nel 2015 e 2016. Sempre nel 2015 – a 17 anni – ho vinto l’oro ai Campionati del Mondo nella categoria Youth.
Una carriera rapidissima, sempre al fianco del papà…
Sì lui è il mio eroe. È un poliziotto, vittima di un incidente in servizio e costretto sulla sedia a rotelle. Sono molto legata a lui, mi ha insegnato che nella vita non bisogna mai arrendersi. E quando sono sul ring e la situazione si fa difficile, sento il suo esempio, non mi arrendo mai. Quando è rimasto paralizzato io avevo solo due anni, sono cresciuta sulle sue gambe, non mi ha mai fatto mancare niente. Non l’ho mai visto come un papà diverso dagli altri, la sedia su cui lui è seduto non ci ha mai divisi, anzi. Ancora oggi lo guardo con occhi da innamorata.
È stato anche lui che ti ha aiutata a inquadrare i tuoi sogni?
Sì, assolutamente. Fin da bambina i miei sogni sono sempre stati due. Da una parte andare alle Olimpiadi, e spero di realizzarlo presto. Dall’altra entrare in Polizia ed è stato possibile grazie allo sport, dopo la vittoria dei Mondiali del 2015, per cui ora faccio pare del Gruppo Sportivo delle Fiamme Oro. Se non ci fossi arrivata così, sono sicura che avrei seguito la strada dei concorsi.
La tua carriera sportiva è stata brillante, rapida, ma ti ha costretta anche ad affrontare momenti non semplici.
A 18 anni sono entrata nel mondo delle “grandi” della Nazionale. Nuovi confronti, nuova vita. Ma all’inizio del 2018 ho subito un grave infortunio: la rottura del legamento crociato anteriore, che mi ha costretto a subire un intervento e a saltare al mio primo Europeo nella categoria Elite (over 19, ndr). I Mondiali erano in programma nove mesi dopo e nessuno dei medici credeva che potessi riprendermi per quell’appuntamento. Ma io non ho mollato: in tre mesi ho recuperato, con il programma di fisioterapia seguito passo passo, la riabilitazione tutte le mattine in piscina, grazie come sempre all’aiuto di mio papà. A giugno sono rientrata in Nazionale e ho rivisto la luce. Ho recuperato il peso gara, mi sono rimessa in riga e sono stata convocata per i Mondiali Elite in India, a novembre. Lì però è arrivata la seconda batosta: sono stata eliminata al secondo turno. Era la prima volta che mi capitava di uscire in quel modo.
Mi ero sempre vista sul gradino più alto e mi sono trovata ad affrontare la sconfitta. Poi, anche grazie al confronto con i miei genitori, ho capito che la vera vittoria in quella fase era stata tornare sul ring dopo l’infortunio che avevo subito.
Qual è stato il cambiamento in te?
Fino a quando ti confronti con le giovani, sei abituata a trovarti davanti della ragazzine. Con il passaggio all’Elite invece hai di fronte delle vere e proprie donne, pronte al combattimento. E per risposta devi imparare ad avere un carattere forte. Lì è iniziato il mio cambiamento vero. Dopo un paio di mesi ho vinto l’argento agli Europei Under 22, l’argento europeo Elite a Madrid e a ottobre scorso, a Ulan-Udè, in Russia, anche l’argento Mondiale. Non sono ori, ma sono comunque arrivata sempre in finale, tra le migliori. Quei momenti di buio mi sono serviti a farmi crescere a farmi diventare la donna che sono adesso.
Sei indulgente con te stessa?
No, sono molto critica. Anche in allenamento, quando qualcosa non va, difficilmente mi perdono.
Quanto dedichi allo sport ogni giorno?
Mi alleno in due sessioni: due ore al mattino, dedicate alla preparazione fisica, due ore e mezzo al pomeriggio, dedicate interamente al pugilato. Mi alleno a Casoria, assieme al mio ragazzo Gianluca, a sua volta pugile e fratello di Vincenzo Picardi, bronzo Olimpico a Pechino 2008. E questo è possibile grazie alla Polizia e alle Fiamme Oro, che mi concedono di stare a casa, vicino ai miei affetti. Anche se spesso mi trasferisco ad Assisi, per allenarmi al Centro Nazionale Federale.
Che rapporto hai con i social e il mondo del web?
Sono sempre stata “molto social”, ma fino a poco tempo fa i miei profili erano privati. Ultimamente, con la crescita sportiva, li ho resi pubblici e i contatti tra i follower sono molto aumentati. Quello dei social è un mondo in cui da una parte devi stare attenta, perché non sai mai cosa ti aspetta, dall’altra ti permette di conoscere realtà e persone nuove, anche appassionati del mio sport.
Hai mai avuto esperienze spiacevoli? Hai subito attacchi di qualche tipo?
Personalmente no, però sono stata testimone – sia sui social sia nella vita reale – di situazioni di razzismo, cattiverie, gelosie. E non posso che pensare che le persone razziste siano ignoranti. Chi ancora compie atti di razzismo non ha neanche bisogno di essere descritto, è inqualificabile. Così come chi compie atti di bullismo. Una persona che diventa vittima di queste azioni non significa che sia debole.
La persona veramente debole è colei che compie attacchi di bullismo per sentirsi forte, perché non ha altre forme per emergere.
A occhi inesperti, il pugilato può sembrare uno sport violento…
Sì, ma non è così. È uno sport che ti insegna ad avere rispetto per il tuo avversario, a stare in mezzo ad altre persone. Il combattimento è fatto di regole, della capacità di amare se stessi e il prossimo. Il pugilato – è vero – nella vita può essere un’arma, ma solo di difesa. Non può e non deve diventare un abuso. Come ogni sport, può invece diventare un veicolo per sfogare la rabbia, il dolore.
Essere donna in un ambiente come quello pugilistico è difficile?
No, almeno dal mio punto di vista. È vero che, soprattutto all’inizio, mi sono trovata ad allenarmi con quasi solo dei maschi, tra cui mio fratello, che ha sempre insegnato a tutti – per prima a me – che le donne vanno rispettate in tutto e per tutto. Magari qualcuna al mio posto avrebbe potuto sentirsi in imbarazzo, ma io sono sempre stata rispettata e, da qualche ragazzo, anche temuta sul ring. Non è un ambiente chiuso alle donne, anche se le ragazze che praticano il pugilato non sono ancora moltissime.
Veniamo alla situazione attuale, con il blocco di tutte le attività a causa dell’emergenza coronavirus e il rinvio dei Giochi Olimpici. Cosa hai vissuto in queste ultime settimane, passando dal sogno di Tokyo all’obbligo di doversi mettere in attesa?
Aspettavo questo quadriennio da dieci anni, visto che andare alle Olimpiadi era uno dei miei sogni di bambina. E per ottenere il pass per Tokyo mi mancava solo un match. Siamo partiti per Londra, per il Torneo Europeo di Qualificazione, in un momento in cui sapevamo che già altri sport erano fermi per l’emergenza coronavirus. La situazione non era semplice, i nostri genitori erano preoccupati. Il Torneo è cominciato a porte chiuse, noi abbiamo iniziato a combattere, decisi verso i nostri obiettivi. Ma la sera prima del mio match si è tenuta una riunione in cui è stata decisa la sospensione dell’evento. La prima reazione è stata scoppiare in lacrime. Siamo rientrati a casa e ci siamo messi in isolamento. Poi, pochi giorni dopo, è stata ufficializzata la notizia dello spostamento dei Giochi Olimpici e ho capito che era giusto così. Se deve essere un male per me, per gli atleti e per tutti coloro che partecipano all’organizzazione dei Giochi, è giusto fermare tutto. Certo, per noi che attendiamo questo evento da almeno quattro anni è difficile ora pensare come riprogrammare tutta la preparazione. L’avvicinamento ai Giochi per ogni sportivo è fatto di sacrifici enormi, lunghi periodi passati fuori casa, dedizione costante. Ma la vita a volte ti presenta delle sfide più grandi e la cosa migliore è accettare di fermarsi e ringraziare Dio che stiamo bene, sperando che ci dia la forza di compiere di nuovo questi sacrifici, ancora più forti di prima.
Come passi questi giorni in casa? La Federazione Pugilistica Italiana (FPI) la lanciato la campagna social #InFormaConLaBoxe a cui tu hai partecipato.
Rientrata da Londra ho scelto l’isolamento volontario, come tutte le persone che tornano da un Paese straniero in questa situazione. Ho la fortuna di avere un grande terrazzo in cui mi posso allenare. E vicino a me, ma dall’altra parte di un vetro perché non possiamo entrare in contatto, c’è mio papà che mi segue costantemente. Noi atleti non possiamo far altro che allenarci da soli, dare l’esempio e “fare i bravi”, come tutto il resto della popolazione, ciascuno a casa propria ma uniti a distanza. Dobbiamo essere forti anche di testa, non mollare e continuare a inseguire i nostri sogni.