Non affossiamo lo sport di base

Lo sport italiano sta vivendo una delle sue stagioni più difficili. Soprattutto quello di base. Sì, perché dall’inizio dell’emergenza Covid-19, per quanto tutto il Paese abbia subito ripercussioni difficili da affrontare, uno degli ambiti maggiormente colpiti è stato proprio quello in cui operano le Associazioni sportive dilettantistiche. Realtà che vivono grazie alle rette (spesso popolari) pagate dagli iscritti, che fanno affidamento su personale preparato ma non inquadrato contrattualmente, che si confrontano con il problema degli impianti: se privati, con affitti alti e utenze da pagare a fronte di entrate praticamente nulle, se pubblici, comunque off-limits, in quanto per lo più palestre scolastiche inaccessibili in questa fase a personale esterno.

Ne abbiamo parlato con Andrea Bruni, responsabile nazionale CSEN Progetti. Lo CSEN, ente di promozione sportiva, è tra i partner del progetto Odiare non è uno sport e da sempre è impegnato nella promozione dello sport di base e dello sport integrato.

di Ilaria Leccardi

Andrea, come sta vivendo lo sport di base la situazione attuale e le decisioni prese dal governo in seguito all’emergenza Covid-19?

Sembra che nella gestione della situazione sanitaria non ci sia stata attenzione all’importanza che l’attività sportiva ha nella vita delle persone. E in Italia questo è prima di tutto un problema culturale. Invece sappiamo che alcune attività possono essere portate avanti in sicurezza, senza rischi di contagio, nel pieno rispetto delle regole sanitarie. Sia in piscina sia in palestra, ma anche negli sport di contatto. A partire da marzo le associazioni sportive hanno compiuto sforzi notevoli, spesso con costi importanti, per adeguarsi alle disposizioni. Ma tutto questo non è stato sufficiente.

La chiusura è stata un errore?

Dobbiamo dividere tra le imprese sportive commerciali e le Asd, Associazioni sportive dilettantistiche, sono due approcci molto differenti. Per come è stato affrontato il problema, si sarebbe potuto fare più attenzione alle specifiche situazioni e non chiudere tutte le attività in modo uniforme. Sarebbe stato necessario puntare sulla responsabilità individuale con adeguati controlli. Ricordiamoci che le attività sportive di base non sono solo movimento fisico finalizzato al benessere individuale.

Pensiamo ad esempio allo sport integrato, su cui noi come CSEN abbiamo fortemente investito negli ultimi anni e che permette la condivisione, anche sociale, tra persone disabili e non disabili. Ma questa situazione chiude tutto, anche le possibilità rivolte alle persone socialmente più fragili.

Come hanno risposto alla situazione le associazioni affiliate allo CSEN?

Hanno cercato di portare avanti delle attività online. Dal punto di vista meramente sportivo lo puoi fare, ma manca tutta la dimensione psicofisica, di relazione sociale. Un’esigenza reale che non si recupera in alcun modo. Anche tra le fasce di ragazzi più giovani, la mancanza di confronto su questo piano rischia di far crescere delle difficoltà sociali che andranno affrontate. In l’Italia siamo culturalmente più adeguati nella gestione delle emergenze che nella programmazione delle soluzioni e in queste occasioni il nostro limite emerge con chiarezza.

Su cosa si sarebbe potuto puntare per mantenere viva anche in una situazione fortemente critica una qualche forma di attività in presenza?

C’è chi ha proposto soluzioni innovative, senza ricevere ancora troppo ascolto. Ma continuiamo ad insistere per esempio puntando su spazi esterni alle aule scolastiche come i cortili, i parchi, le sedi del terzo settore, gli spazi urbani, le biblioteche, dove poter svolgere attività scolastiche in ambiente esterno anche su argomenti che favoriscono la crescita delle soft skill e delle competenze trasversali. In questo percorso gli Enti del terzo settore potrebbero essere un forte alleato. 

Sono in molti a dire che questa situazione avrà ripercussioni drammatiche a livello di relazioni.

Diciamo che se a marzo-aprile poteva esserci l’elemento di novità e quindi lo stare in casa e trovare soluzioni via web poteva essere positivo, ed era comunque una fase in cui prevaleva psicologicamente la necessità di non uscire per garantire la sicurezza, ora il rischio è che si incorra in una depressione collettiva, un senso di demotivazione generalizzato. Se si era già in una condizione di marginalità, si rischia un aggravamento. Se si viveva in una situazione di povertà educativa, questa diventerà ancora più drammatica.

Potrebbe tuttavia essere un buon momento per tornare a ragionare su alcuni temi chiave dell’universo sportivo?

Sì. Anche perché proprio quest’anno si discute della Riforma dello Sport proposta dal governo. Purtroppo la dialettica per ora si è arenata sulle governance delle presidenze federali. Un potere che parla di se stesso. Ed è un peccato, perché i temi da affrontare sarebbero tanti, tutti molti più interessanti e aderenti alla realtà. Non ultimo l’hate speech, al centro del progetto Odiare non è uno sport, o tutti gli argomenti sociali che stanno dentro alla tematica sportiva più generale, come la violenza, le forme di aggregazione sociale…

Si deve lavorare con una politica chiara per sostenere lo sport in quanto attività educativa e sociale. Non è scontato e non si può pensare di lasciare l’iniziativa al singolo tecnico.

Sembra prevalere uno sguardo attento ai vertici…

Sì, anche in merito alla pratica sportiva. In Italia l’attenzione va sempre molto all’élite, quasi che fare sport a livello amatoriale non sia importante. Come se lo sport non di eccellenza fosse una perdita di tempo. Ma sappiamo che non è così e se le persone stanno bene, fisicamente e mentalmente, è anche perché riescono a seguire una preparazione sportiva completa e continuativa. In Italia ci sono 14 enti di promozione sportiva che sono attivi e a cui deve essere garantito di poter continuare a operare. Sia in termini di agonismo, per consentire a giovani e meno giovani di accedere ai rispettivi circuiti di gare, sia nella pratica sportiva quotidiana finalizzata al benessere individuale. Se si guarda alla curva dell’attività sportiva e motoria in Italia si nota un calo incredibile tra gli adolescenti, perché manca la motivazione se non si fanno le gare. L’idea dominante è che o diventi un’eccellenza o perdi tempo.

E che riconoscimento ha chi ogni giorno lavora nelle palestre?

Quella dell’operatore sportivo è uno delle poche categorie a non avere un contratto di lavoro nazionale. Ora, grazie alla possibilità di richiedere il bonus, Sport e Salute [la società di servizi a cui è affidato il compito di occuparsi dello sviluppo dello sport in Italia, ndr] sa potenzialmente quanti sono i tecnici sportivi nel nostro Paese e a loro andrebbe garantita la possibilità di godere di un contratto stabile. Questo, tuttavia, comporterebbe per le piccole associazioni sportive un aumento dei costi e si tratta di un problema che va affrontato a livello nazionale. La piccola Asd, per poter garantire degli inquadramenti corretti, deve essere sostenuta, altrimenti si aggiusta una falla nel sistema ma se ne crea un’altra.

Sappiamo che a settembre, anche prima della chiusura forzata, molte Asd hanno dovuto confrontarsi con un calo delle iscrizioni. Un po’ per paura, un po’ per soldi, le famiglie hanno anticipato il governo nella decisione di non iscrivere i propri figli all’attività sportiva. E molte realtà rischiano la chiusura per l’impossibilità di far fronte ai costi, soprattutto degli impianti. Quando si potrà fare una valutazione concreta sulle ripercussioni di questa annata?

Sul livello dei tesseramenti ad oggi abbiamo delle cifre che non danno dei riscontri reali, perché molte persone si sono iscritte a inizio anno, ma non è detto che abbiano poi mantenuto una frequenza nelle rispettive realtà. La valutazione sarà da fare nel primo trimestre del 2021. Le associazioni sportive per poter lavorare devono essere inserite nell’albo nazionale gestito dal Coni e se il prossimo anno ci saranno meno richieste di affiliazione dovremo purtroppo constatare che alcune avranno chiuso.

Riforma dello Sport: i seminari CSEN

La Riforma dello Sport a partire dalla base e dalle persone


Un ciclo di sei incontri sulla Riforma dello Sport avanzata dal governo. È quanto propone lo CSEN (Centro Sportivo Educativo Nazionale) – all’interno del progetto Odiare non è uno sport – per approfondire il tema dal punto di vista delle persone che ogni giorno lavorano nei luoghi dello sport. Mentre il dibattito mainstream si è per lo più concentrato in questi mesi su temi di “vertice”, come il limite ai mandati dei presidenti federali, il contributo dello CSEN vuol andare nella direzione di tornare al valore sociale dello sport, a partire dalla base. 

Il ciclo di incontri, dal titolo “La riforma dello sport. Il punto di vista di chi vive lo sport centrato sulle persone, a favore dell’integrazione sociale, per conoscere e contrastare l’hate speech” (al fondo dell’articolo il calendario completo), parte lunedì 28 settembre a Perugia, toccando altre cinque città: Verona, Torino, Catania, Roma e Udine. Gli incontri saranno trasmessi sulla pagina Facebook di Odiare non è uno sport. A seguito dell’aggravarsi dell’emergenza sanitaria, a partire dal secondo incontro sono stati integralmente spostati su piattaforma online, a distanza.

Lo CSEN, spiega Andrea Bruni, Responsabile Ufficio Progetti Nazionale dell’Ente di promozione sportiva, “concepisce lo sport come attività volta a favorire il benessere delle persone e quindi vede in esso prima di tutto un intento e una finalità sociale. A differenza delle Federazioni, che curano maggiormente le eccellenze sportive. Nel contesto della Riforma dello Sport, la discussione per ora si è molto concentrata su cosa cambierà per i vertici e per i dirigenti, ma ha lasciato in sospeso le altre problematiche. Per esempio non si è parlato di chi fa dell’attività sportiva il suo lavoro, che non ha un contratto nazionale di riferimento. Oppure dell’approccio educativo che lo sport deve avere con i minori”.

Negli incontri però si affronteranno anche i temi dell’integrazione sociale, della lotta alle discriminazioni e dello sport integrato, ossia “dell’attività sportiva che mette insieme persone con disabilità e persone non disabili, con regolamenti nuovi. Un tema interessante – prosegue Bruni – perché aggancia le problematiche legate al ruolo che ogni sportivo può avere nel contesto di origine e il contributo che ciascuno può dare a livello individuale su obiettivi collettivi, se messo nella miglior condizione per esprimersi”. 

Di seguito l’elenco dettagliato degli appuntamenti:

PERUGIA lunedì 28 settembre 2020 / ore 17.30
Sala Trinci – Centro Congressi Capitini – Via Centova 4 

PIEMONTE venerdì 6 novembre 2020 /ore 9.30 – diretta FB 
con Andrea Bruni – Responsabile Nazionale CSEN Progetti
Gianluca Carcangiu – Presidente Regionale CSEN Piemonte  
Ilaria Zomer – Formatrice presso il Centro Studi Sereno Regis
Ivana Nikolic – Ballerina professionista, attivista – artista ed educatrice 
Barbara Costamagna –  Psicologa e Psicoterapeuta 

ROMA venerdì 13 novembre 2020 / ore 9.30 – diretta FB
con Andrea Bruni – Responsabile Nazionale CSEN Progetti 
Henrika Zecchetti – Presidente Comitato Provinciale CSEN Roma 
Elisa Nucci – Responsabile Progetti COMI – Cooperazione per il mondo in via di sviluppo
Antonella Passani – sociologa e membro di IntegrArte
Leonina Benigni – educatrice Professionale 

FRIULI VENEZIA GIULIA sabato 14 novembre 2020 / ore 9.30 – diretta FB 
con Andrea Bruni – Responsabile Nazionale CSEN Progetti
Giuliano Clinori – Presidente Regionale CSEN Friuli e Vice Presidente Nazionale CSEN 
Sara Fornasir – Responsabile del Progetto Odiare non è uno Sport –  Referente CVCS 
Eva Campi – Referente Parole Ostili 

VENETO sabato 21 novembre 2020 / ore 10.00 – diretta FB 
con Giacinto Corvaglia – Comitato Provinciale CSEN Verona
Marina Lovato – Formatrice Ufficio Educazione e Cittadinanza Attiva – ProgettoMondo Mlal
Andrea Bruni – Responsabile Nazionale CSEN Progetti
Stefano Pratesi – Formatore esperto in gestione dei conflitti e diritti umani 
Paola Caruso – Referente Regionale Calabria CSEN Sport Integrato

SICILIA – data da definire